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02/12/24 ore

Fine della "prima-seconda" Repubblica


  • Silvio Pergameno

È molto  probabile  che  queste  giornate,  come  tutta  l’abbondante  annata  che  le  ha  precedute,  ce  le ricorderemo a lungo; che gli storici le descriveranno come quelle della fine della prima Repubblica. Proprio della prima, perché di seconda Repubblica in questi anni si è parlato abbondantemente, senza, peraltro, alcun fondamento e solo perché i facitori di opinione e tanti politici hanno voluto dare l’impressione che qualcosa stesse cambiando sin nelle fondamenta dello stato, laddove, invece, ha preso corpo soltanto una transizione.

 

Non è che non sia cambiato nulla, ma non c’è stato il cambiamento, il famoso cambiamento, di cui è lecito parlare solo come di un processo: a una nuova costruzione, la seconda Repubblica per l’appunto, non è stato nemmeno dato inizio. La prova più evidente è fornita proprio dal fatto, universalmente lamentato, che le famosissime riforme nessuno le ha fatte. In tanti ci hanno provato, ma tutti sono sprofondati nelle melme dell’immobilismo, comunque mascherato.

 

Dal novembre 2011, invece, qualcosa è cambiato: in primo luogo è stato colpito uno dei paragrafi fondamentali della costituzione di fatto, quello per il quale il Presidente della Repubblica sarebbe una specie di notaio di paese, che mette timbro e firma sotto un contratto tra partiti che si sono messi d’accordo tra loro, una faccenda inventata di sana pianta e che dal testo scritto della costituzione non emerge affatto.

 

I tentativi di innovazione nella struttura dello stato affidati alle Commissioni bicamerali, susseguitesi per trent’anni, sono tutti falliti, perché si cercava di modificare il testo scritto della Carta, una cosa parecchio inutile, perché il primo passo avrebbe dovuto essere quello di stabilire quale era la struttura reale dello stato, in modo da calibrare riforme in grado di incidere sulle istituzioni nella loro realtà.

 

 A partire dal novembre 2011, poi ,  i partiti (almeno quelli maggiori) si sono trovati costretti a sostenere – a braccetto - un governo, e un governo nella sostanza profondamente detestato. Un viaggetto del quale, appena Monti si è dimesso, sono state subito strappate tutte le foto ricordo.

 

 Infine ci sono state le elezioni, le quali hanno fotografato fedelmente la crisi politica che la nazione sta attraversando:

 

una destra senza idee, che nello scorso ventennio ha dilapidato due legislature piene, senza produrre qualche riforma degna di questo nome…. la salvaguardia della divisione dei poteri e dell’ indipendenza dei parlamentari dai partiti; il ruolo e il finanziamento dei partiti, con il terrificante conflitto di interessi in cui perennemente versano; la figura e il ruolo del pubblico ministero, le pene trasformate in torture a causa dell’affollamento delle carceri, l’obbrobrio della detenzione preventiva, la durata dei processi,; l’incapacità di ridurre lo strozzinaggio del mortifero sistema fiscale, conseguenza di una mancata spending rewiev…

 

 … una sinistra che ha perso la testa al tempo crisi politica dei primi anni novanta, nella quale ha visto a portata di mano la tanto agognata conquista del potere, ma poi nei fatti è riuscita soltanto a sopravvivere, con le strutture e la classe politica del vecchio PCI, del vecchio stato social-corporativo e di un blocco storico cattocomunista, incrostata in una concezione della giustizia come contropotere e come strumento di controllo degli altri due poteri; e così è riuscita a ricavarsi un ruolo a esaurimento, che ormai è giunto al capolinea (basti pensare all’accanimento con il quale ha difeso il porcellum e continua a sentirsi maggioranza per via dei duecento parlamentari ottenuti di risulta).

 

Tutti impossibilitati a riformare lo stato sociale dentro il quale è incastrato il potere dei partiti.

 

 


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