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02/12/24 ore

La regola del gattopardismo


  • Luigi O. Rintallo

Alla fine se n’è accorto anche Galli della Loggia, che sul mensile «Style» del «Corriere della Sera» ha pubblicato un articolo nel quale – a proposito dell’elezione dei due nuovi presidenti di Camera e Senato – denuncia come sia stata una tipica espressione del gattopardismo italiano.

 

Scrive l’editorialista: “nonostante a molti italiani piaccia vedere nei nuovi presidenti delle Camere l'espressione di chissà quale «rinnovamento» … è assai più fondato, mi sembra, scorgere nella loro elezione il sagace tentativo del vecchio gruppo dirigente del PD… di assicurarsi un futuro applicando la vecchia regola nazionale secondo la quale ‘tutto deve cambiare perché nulla cambi’”.

 

Quella enunciata da Tancredi, all’inizio del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, è davvero una regola nazionale: “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. Solo che il “gattopardismo” non si esaurisce certo nelle pratiche del PD o del sistema dei partiti in genere. È piuttosto una categoria ben riconoscibile nell’insieme di tutte le oligarchie del nostro Paese.

 

A ben vedere, sono proprio le nostre élites a vestire i panni di un altro personaggio del romanzo, quel Calogero Sedara disposto a farsi “vassallo” del Re d’Italia per continuare a esercitare la sua quota di potere e di condizionamento, come amministratore disonesto del patrimonio del Principe di Salina. Li individuiamo nei finanzieri specialisti nel privatizzare i profitti e socializzare le perdite, o nei banchieri tessitori di alleanze e razziatori di risorse, o ancora nei grand commis delle ex partecipazioni statali trasformatisi in sensali e mediatori di affari lucrosi. Per tutti costoro, prima ancora che per i partiti, vale la regola del “gattopardismo”.

 

Dietro la maschera della disponibilità al “nuovo”, celano la loro volontà di preservare a ogni costo lo status quo. Magari ponendosi sotto la tutela degli interessi internazionali, che guardano all’Italia come a una gallina da spennare. Queste sono le oligarchie dal vero potere decisionale, che contano sulla capacità di “direzionare” le opinioni pubbliche attraverso le campagne mediatiche, così da eliminare gli ostacoli ai loro disegni.

 

Vi sono poi le molte oligarchie il cui potere è più che altro soltanto ostativo, quelle che costituiscono l’anima della cosiddetta “società delle conseguenze”, col suo sistema di veti incrociati e blocchi avanzati dal coacervo sindacal-burocratico-corporativo al quale i partiti sono sottomessi in nome del consenso.

 

Trattenuto dalle catene di entrambi, l’Italia vive così una lenta agonia, mentre ci si attarda ancora con l’istituzione di commissioni rappresentative del nulla e si lascia in carica un governo abusivo, privo della fiducia espressa dalle nuove Camere.

 


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