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02/12/24 ore

Non uccidiamo la speranza del popolo siriano



di Emma Bonino

(dal corriere.it)

 

Le scene strazianti che ci sono arrivate nei giorni scorsi da Madaya, la tristemente nota città siriana, sono state l’ennesimo promemoria delle terribili condizioni in cui versano milioni di persone intrappolate in Siria. Non deve essere una sorpresa che in molti cerchino di scappare; in 4.6 milioni (l’intera popolazione dell’Emilia Romagna) lo hanno già fatto. Tuttavia, chi scappa ha di fronte a sé una scelta difficile: rimanere bloccato in un campo profughi con pochissimi servizi e quasi nessuna speranza per il futuro oppure tentare il viaggio disperato verso l’Europa. Nei campi profughi, più della metà dei bambini rifugiati siriani non va a scuola: una generazione intera sta rischiando di perdere così il proprio futuro.

 

Questa è la generazione che sarà un giorno chiamata a ricostruire la propria società, ma come potranno farlo senza le conoscenze necessarie? Per chi sceglie di cercare una vita migliore in Europa, non vi sono dubbi sul loro diritto a farlo e che tale diritto debba essere rispettato senza condizioni. L’Europa ha i mezzi per accogliere un milione di richiedenti d’asilo, nonché un imperativo morale a farlo.

 

Una risposta coordinata e non egoistica di tutti i Paesi membri è necessaria, se non obbligatoria. Tuttavia, una imprenscindibile politica di accoglienza da parte dei Paesi europei deve necessariamente essere accompagnata da un progetto di soluzione diplomatica della crisi, quale soluzione a lungo termine delle condizioni che obbligano queste persone a scappare dalle proprie case.

 

La risposta dei Paesi europei, e dell’Italia, non può dunque fermarsi ai propri confini ma deve andare oltre. Mentre il quinto anniversario di questa guerra feroce si avvicina, la conferenza dei donatori che si svolgerà a Londra questo febbraio deve essere vista come l’apripista di un anno di attività internazionale di gestione della crisi siriana, che avrà luogo a Ginevra, Vienna, Riad come in altri luoghi. Londra servirà a stabilire il passo di questa attività: sarà l’occasione in cui il nostro governo, insieme ad altri, fisseranno le proprie ambizioni.

 

Quanto in là siamo disposti ad andare per risolvere la crisi siriana e assicurare la sopravvivenza ai suoi abitanti? Una soluzione diplomatica e politica deve essere vista come il punto di partenza di ogni sforzo per risolvere la crisi siriana, e di questo sarà necessario parlare anche a Londra. Allo stesso tempo è necessario trovare nuovi modi per rispondere alle necessità di quei 4.6 rifugiati fuori dalla Siria e, allo stesso tempo, correre in aiuto dei Paesi confinanti che stanno terminando le risorse a loro disposizione per far fronte all’emergenza.

 

C’è bisogno di un piano che permetta ai siriani di ricostruire la propria vita e che possa donare loro la speranza di avere ancora un futuro nella loro regione e nel loro Paese, di avere ancora qualcosa a cui fare ritorno. C’è bisogno di un piano che incoraggi una ripresa economica e sociale per prevenire ulteriore instabilità nella regione e che metta i rifugiati siriani nella condizione di avere un futuro.

 

Investire nuovi fondi umanitari è necessario, e serve a salvare vite umane, ma senza un progetto di lungo periodo non può essere abbastanza. C’è bisogno di un approccio coordinato, di un piano che rinnovi e riformuli le modalità con cui finora si è cercato di arginare una crisi che sta inghiottendo l’intera regione.

 

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