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02/12/24 ore

Vicenda romana M5S, quando un’opposizione non è un’alternativa


  • Luigi O. Rintallo

La vicenda romana del Movimento 5 stelle, al di là dei dati folklorici e gossipari evidenziati dai media, dimostra soprattutto una cosa. Come ogni sistema di potere della società contemporanea, anche quello italiano richiede che ci sia un’opposizione ma non un’alternativa.

 

È appunto quello che è avvenuto anche con il movimento promosso da Casaleggio e da Grillo.

 

Il suo limite non sta tanto nell’inesperienza politica dei suoi componenti o nelle divisioni interne, contraddistinte da un eccesso di rivalità. Sta piuttosto nel fatto che esso è cresciuto e si è alimentato lungo una pista che è stata tracciata a priori dai soggetti che da sempre condizionano la società italiana, nella testarda difesa degli interessi consociativi e corporativi dei gruppi di potere.

 

In ciò va individuata la principale differenza rispetto al movimento dei diritti civili degli anni ’70-’80 animato ad esempio da Pannella e dai radicali, che non rappresentava un’opposizione ma piuttosto un’alternativa e per questo era più temibile, tanto da essere posto nelle condizioni di non nuocere con il silenzio e il sabotaggio sistematico delle loro iniziative, operato dall’accorta regia dei media.

 

I media – espressione in Italia del potere – sono stati determinanti anche nei confronti del M5S, laddove gli hanno fornito il materiale avariato che è andato a costituire il suo background per così dire ideologico. Di cosa si sono nutriti i militanti grillini se non della retorica anti-casta e dell’anti-politica profusa a piene mani da annate e annate delle principali testate o dei principali talkshow televisivi? Un carburante incendiario che serviva a coltivare quella “opposizione di sua maestà”, utile proprio perché garantiva di non trasformarsi mai in una reale alternativa di potere.

 

È stato come dare a chi intendeva appendere un quadro al muro non il martello e i chiodi, ma un cacciavite e una pinza. Con gli strumenti impropri del giustizialismo, del ribellismo, dello scandalismo e del complottismo da retroscena (in cui i giornali-partito tipo «la Repubblica» hanno fatto da caposcuola a tutti gli altri) non poteva certo formarsi una classe politica in grado di esercitare il rigore dell’azione politica, né di praticare il pragmatismo atto a ricercare soluzioni ai

problemi di governo.

 

Per quello occorrevano il garantismo e la cultura dello Stato di diritto, della riforma e della paziente gradualità che sono i soli mezzi capaci di disserrare i chiavistelli che impediscono il dispiegarsi di una società libera, dove individui consapevoli e responsabili esercitano con autonomia diritti non concessi dall’alto ma risultato di una reale presa di coscienza.

 

In linea con il percorso della nostra storia repubblicana, anche gli ultimi anni hanno visto distribuire le parti in commedie dai capicomici di sempre, così da allestire sempre lo stesso spettacolo. Oggi Grillo dichiara che “vigilerà” sulla sindaca Raggi: farebbe bene, se tiene davvero a dare un futuro al movimento, a rimuovere in profondità il retroterra culturale dell’anti-politica che lo ha sin qui contraddistinto abbandonando finalmente il discount della demagogia, funzionale a non disturbare il manovratore, per cominciare a fare politica vera.  

 

 


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