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02/12/24 ore

“Auschwitz e la filosofia”


  • Elena Lattes

È sempre molto difficile affrontare un argomento ampio, complesso e così tremendamente doloroso come lo è la Shoah, il genocidio nazista perpetrato soprattutto nei campi di sterminio. Tentare di comprendere il Male è impossibile e rischia di portare chi lo fa ad una sorta di identificazione con i carnefici giustificandone le azioni. Tuttavia questa impossibilità rischia, secondo Giuseppe Pulina, autore di “Auschwitz e la filosofia” pubblicato da Diogene Multimedia, di costituire un terreno fertile di argomentazioni per il negazionismo.

 

E' quindi doveroso, secondo l'autore, docente di filosofia in un liceo sardo, ricordare e insegnare ai più giovani quel che accadde settant'anni fa. Ma come e cosa si deve fare? Da queste due domande, apparentemente semplici, ne scaturiscono tante altre, quali ad esempio: si può scrivere dopo Auschwitz? E in particolare si può fare poesia? Dov'era Dio, mentre milioni di persone venivano torturate e morivano in condizioni atroci? Ha responsabilità, e se sì, quali? Cos'è la Memoria, cosa significa perdonare e chi può permettersi di farlo?

 

Ad ognuno di questi interrogativi viene dedicato un ampio paragrafo nel quale vengono riportate le opinioni di grandi pensatori come Derrida, Adorno, Wiesel, Primo Levi, Jankélévitch, Hans Jonas, ma anche di personaggi controversi quali Arendt e Heidegger e di filosofi di secoli precedenti, come Leibnitz e Voltaire.

 

Poiché, anche se questi ultimi non hanno vissuto in quel periodo e nemmeno avrebbero potuto immaginare una simile tragedia, hanno affrontato, in base alle loro esperienze meno drammatiche, argomenti come il male e la giustizia divina (teodicea). Nell'ultimo capitolo l'autore suggerisce la lettura di dieci libri che hanno affrontato l'argomento dell'antisemitismo sotto diversi aspetti: dai vecchi pregiudizi, come l'accusa del sangue, ovvero la mitologia degli omicidi rituali che tanto odio e violenze ha fomentato nei secoli, in particolare negli ultimi due, alla negazione dell'Altro, dalla storia alla filosofia e alle riflessioni sulla diversità umana.

 

Chi cerca risposte, però, non le troverà in questo libro, poiché, come sottolinea giustamente Pulina, la questione rimane aperta. Allora perché scrivere ancora su questo argomento? Non c'è già un'ampia letteratura in merito? Come scrive nella prefazione Mario Trombino, anch'egli docente di filosofia e saggista, perché gli interlocutori possono essere diversi, ma anche perché le stesse persone con cui si riflette crescono, cambiano, si evolvono. Fornire spunti di questo tipo è un modo per perpetuare la memoria, per parlare dell'indicibile usando le parole e i pensieri di chi lo subì (come Levi, Wiesel e, in parte, anche Célan).

 

Forse, allora, l'unica risposta che si può trovare in un libro così piccolo ma particolarmente intenso è relativa alla domanda “quale sarebbe la maniera dovuta... per occuparsi di Auschwitz?” L'autore suggerisce che usare gli strumenti della filosofia può aiutare a mantenere e a trasmettere una parte della memoria così importante per l'identità non solo europea ma di tutta l'umanità, senza la quale quest'ultima risulta fragile e menomata (l'identità probabilmente ne farebbe volentieri a meno, ma non sarebbe la stessa se non ricordasse il proprio passato) e può aiutare anche a riflettere insieme, senza urtare le sensibilità dei sopravvissuti che, ormai, per ragioni anagrafiche, stanno completamente scomparendo, e dei loro discendenti.

 

 


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