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01/12/24 ore

Dal reddito di cittadinanza a elemosina elettorale



di Mauro Mellini

 

Negli anni del Dopoguerra, quando il populismo aveva ancora la sua etichetta originale di movimento delle plebi impermeabili al liberalismo, ed alla modernità, di lazzaronismo legittimista, di partito “de o re”, gli anni di Lauro, leader del partito monarchico, Sindaco di Napoli, alla plebe napoletana, agli abitanti dei “bassi”, dei quartieri spagnoli, agli affamati reazionarii di una città gravemente rovinata dalla guerra, “piovve dal cielo” una sorta di elemosina speciale, il prezzo dei loro voti pagati in denaro, in pacchi di pasta, in vestiario e in scarpe. Scarpe distribuite prudentemente non a paia ma una per volta: una prima del voto, una dopo.

 

Era il “reddito elettorale”, un’anticipazione del “reddito di cittadinanza” della nuova versione della riedizione fattane dal partito populista di Grillo.

 

In verità quel nome aveva un che di solenne e di nobile: il reddito “per il cittadino in quanto tale”, reddito della sua prima e più preziosa proprietà: la proprietà, la comproprietà dello Stato, di ciò che esso produce e consente sia prodotto. Bella davvero. “Bella ma non balla” diceva un’antica espressione apologetica della pudibonda ritrosia di qualche fior di ragazza di una volta.

 

Il “reddito di cittadinanza”, cavallo di battaglia dei grillini, ha mostrato subito di “non ballare”, ma non per pudica ritrosia. Semmai per facile approssimazione ed impudicizia di quelli che lo promettevano. Promesse che erano e sono come la prima scarpa delle elargizioni elettorali del Comandante Lauro.

 

“A tutti i cittadini un reddito minimo assicurato dallo Stato”. Questa è “la patacca” affibbiata alle masse. Formato il Governo Salvini-Di Maio sono cominciate subito le difficoltà. Cioè le prove della faciloneria (ad esser buoni) dei promittenti.

 

Per distribuire soldi, bisogna averli. Se non si hanno bisogna procurarseli. Se a distribuirli deve essere lo Stato, le cui disponibilità pecuniarie hanno da risultare dal bilancio per non ridursi a carta straccia, procurarsele si dice, con termine militaresco, “manovra”. Per mesi si è progettata, varata, ritirata, approvata, ridiscussa, anzi modificata senza discuterla, fatta oggetto di critiche e di intimazioni dell’Unione Europea. Per la quale i buchi, i vuoti di bilancio degli Stati membri sono un pericolo mortale per la sopravvivenza della moneta unica.

 

Si discuteva della “manovra” (cioè della necessità di firmare le cambiali) per il denaro che avrebbe dovuto fare di ogni Italiano un “signorotto”, come si diceva una volta. Io che non capisco niente o quasi di economia, di finanza e di bilanci, dissi subito che se difficile era disegnare una “manovra” plausibile, ancora più difficile sarebbe stato disegnare le regole per l’elargizione dei quattrini a quelli che ne hanno più bisogno. E, più difficile che disegnare il progetto di distribuzione, realizzarlo.

 

Ce n’è voluto per riuscire a capire che cosa e come sarebbe stato dato ai cittadini, ai “meno fortunati”, come si dice, ma tanto fortunati (come in verità non si osa dire) da essere cittadini italiani. I reddituari.

 

Nel momento in cui scrivo il decreto legge (la “necessità ed urgenza” di norme in discussione da mesi e da entrare, comunque, in vigore tra qualche mese è cosa da ridere – e da piangere) non è ancora pubblicato.

 

Ma già si sa che ha fatto esplodere un grosso guaio all’interno della maggioranza. Il “Reddito di cittadinanza” è oramai una impietosa bugia. Sarà dato a chi non è cittadino italiano, ma solo residente. Perché le norme europee impongono che le elemosine non si fanno discriminando cittadini e stranieri. Giusto. Ma allora la piantino con questa denominazione pomposa e bugiarda.

 

E, poi, naturalmente, tutte le diversificazioni per le famiglie più o meno numerose e le questioni tra famiglie di fatto e famiglie “regolari”. Etc. Etc. Etc.

 

Finirà la legislatura e si starà ancora a discutere le mille questioni che nasceranno da questa complicata e falsa elargizione in Tribunali, Corti d’Appello e di Cassazione. E Corte Costituzionale. E, poi, in giudizi penali per le truffe allo Stato.

 

Intanto prendiamo atto che di “reddito di cittadinanza” non si potrà più parlare. Sussidio, elemosina, chiamatelo come vi pare. Ma la cittadinanza non c’entra più. Se non per la responsabilità di aver votato gli autori di quest’altro pasticcio. E per pagare le tasse necessarie a finanziarli.

 

Insomma, daranno ai cittadini Italiani ed gli stranieri poveri (ma, poi, chi sa…) la scarpa destra. Quanto alla sinistra dipenderà, dall’esito delle Elezioni e dalla possibilità economica del Paese.

 

Un pensiero alla memoria del Comandante Achille Lauro.

 

 


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