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12/12/24 ore

Ernesto Galli della Loggia: Le questioni sempre irrisolte e i nostri dibattiti futili



di Ernesto Galli della Loggia 

(da Correre della Sera)

 

L’ evasione fiscale: da decenni affligge le finanze italiane con il suo ammontare spaventoso; se fosse ridotta solo della metà potremmo permetterci spese e investimenti tali da cambiare il volto del Paese.

 

Le liste di attesa del Servizio Sanitario nazionale: tranne pochissimi luoghi fortunati sono ormai diventate endemiche e appaiono ineliminabili; per visite specialistiche o per certi esami medici possono arrivare a molti mesi. Rappresentano uno degli aspetti più odiosi della divisione in classi della società italiana: chi ha i soldi per curarsi privatamente lo fa avendo così maggiori possibilità di guarire di chi invece, privo di risorse, deve aspettare mesi e mesi per curarsi.

 

Pubblica Amministrazione: per generale ammissione la sua inefficienza, la sua vocazione alla moltiplicazione delle procedure, dei regolamenti e dei controlli sono le cause principali delle difficoltà di esecuzione e della smisurata durata a cui va incontro qualunque decisione operativa di chi governa, dal più piccolo Comune allo Stato centrale.

 

Tempi della giustizia: da sempre tra i Paesi con cui amiamo confrontarci l’Italia ha il record dei tempi necessari per arrivare a una sentenza definitiva. Ogni giorno centinaia di migliaia di cittadini provano sulla propria pelle che cosa vuol dire un simile sistema giudiziario.

 

Migranti: oggi, si sa, è il nostro problema più assillante e ormai ne conosciamo tutti ogni aspetto. Dalle mille difficoltà dell’accoglienza alle regole di quella vera e propria gabbia di ferro che è il famigerato Trattato di Dublino di cui non riusciamo e liberarci.

 

Quelle appena accennate costituiscono — quasi sempre da decenni — tra le questioni irrisolte più importanti (perché comportano le conseguenze più gravi) che affliggono la vita quotidiana nostra e del Paese. Ebbene: c’è per un caso chi ricordi per uno o l’altro dei suddetti problemi una qualche soluzione proposta da qualcuno dei partiti che siedono sui banchi del Parlamento? Che sappia dire che cosa propone in merito il partito per cui ha votato alle ultime elezioni? E c’è per caso chi ricordi anche un solo talk show, che abbia dedicato una mezz’ora, non di più, a discuterne?

 

Si tratta di domande retoriche dal momento che la risposta la conosciamo bene: di questi problemi non parla nessuno. O meglio: in realtà se ne parla sempre, ne parlano tutti, a cominciare da quello attualissimo dell’immigrazione. Ma come? Questo è il punto.

 

La nostra politica conosce un solo modo di farlo: quello di servirsene come pretesto per redigere un capo d’imputazione a carico dell’avversario. Qualche sera fa mi è capitato di ascoltare in un programma televisivo cosiddetto di «approfondimento» (sic!) una deputata dell’opposizione che rivolta al rappresentante del governo elencava con cipiglio severo «le cose che non avete fatto», (per l’appunto quelle più o meno che ho elencato all’inizio): neppure passandole per la mente, però, che quelle cose, quei problemi, trascinandosi da decenni e avendo il suo stesso partito governato fino a ieri, forse una qualche responsabilità nella loro mancata soluzione ce l’aveva anch’esso.

 

Macché! Se c’erano le file d’attesa negli ambulatori e i processi duravano un’eternità la colpa di chi poteva essere se non della Meloni? Inutile aggiungere perché lo sappiamo tutti che se le parti fossero state invertite — al governo la sinistra e le destre all’opposizione — lo spettacolo a cui avremmo assistito in tv sarebbe stato assolutamente identico, solo con i ruoli rovesciati.

 

Ma inutile aggiungere anche che non capita mai (a me almeno non è mai capitato) di vedere il conduttore della trasmissione che a quel punto osi garbatamente interrompere l’esponente politico in questione e delle due l’una: o per fargli presente che neppure il suo partito quando era al governo ha fatto nulla per risolvere quei problemi, ovvero per chiedergli: «E lei, scusi, quale soluzione allora proporrebbe?».

 

Perché alla fine è questa la caratteristica più negativa e starei per dire avvilente della scena politica italiana, del modo in cui essa si presenta quotidianamente agli occhi del Paese: la sua futilità. Una futilità (e un discredito) che ovviamente finisce per coinvolgere in pieno la politica stessa. E che ha per grande regista il sistema dei media.

 

Infatti, a causa dei tempi strettissimi che i media si sentono in obbligo di applicare demenzialmente a ogni discorso, anche le questioni più gravi con cui siamo alle prese non possono mai essere analizzate in modo appena appena adeguato alla loro complessità. Dunque l’opinione pubblica non può farsi alcuna idea precisa degli aspetti complessi delle questioni, dei veri interessi spesso tutti meritevoli di considerazione in esse coinvolti, di conseguenza delle scelte difficili che la loro soluzione significa.

 

Del pari nessun esponente politico si sente in dovere di parlare di qualunque cosa con reale cognizione di causa, di conoscere realmente i termini delle questioni, di offrire qualche soluzione plausibile. Tutto il dibattito politico avviene così in un certo senso sul nulla, per frasi fatte, per slogan, molto spesso con reciproche insinuazioni denigratorie. Al centro in modo ossessivo c’è sempre quasi soltanto l’attualità più immediata, la dichiarazione perlopiù superflua, la frase idiota sfuggita qualche ora prima inavvertitamente a questo o a quella ma subito amplificata, ripetuta, ingigantita giusto per alimentare l’inutile «dibattito» serale.

 

Ciò che naturalmente fa molto comodo al ceto politico: perché a una «discussione» di questo livello non fatica a partecipare anche il più sprovveduto, anche il più impreparato, anche chi in realtà non ha nulla da dire perché non sa nulla. In Italia, insomma, la discussione politica pubblica non serve a nulla: né a far capire natura e portata dei problemi, né a esaminare le possibili soluzioni, né a selezionare la classe politica. Serve solo ad eccitare la faziosità delle opposte tifoserie e ad alimentare l’antipolitica.

 

(da Correre della Sera)

 

 


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