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03/12/24 ore

Quei 35 milioni che risparmieremmo facendo lavorare i detenuti



 di Luigi Ferrarella

 

Nessun Paese accetterebbe che negli ospedali morissero 7 ricoverati su 10 o che nelle scuole fossero bocciati 7 studenti su 10.

 

Invece il carcere vive in Italia una doppia amnesia: non soltanto sullo scandalo di 66.000 detenuti stipati in 45.000 posti (da cui le condanne dell’Italia in Europa), ma ancor più sul fatto che 7 detenuti su 10 tornino poi a delinquere se hanno espiato la loro pena tutta in carcere, mentre soltanto una percentuale tra il 12% e il 19% incorra in questa recidiva se durante la detenzione in carcere ha avuto la possibilità di fare veri lavori per conto di imprese o cooperative esterne che li assumono grazie agli incentivi fiscali (516 euro di credito d’imposta per ogni detenuto) e contributivi (80% di riduzione) introdotti nel 2000 dalla legge Smuraglia (dal nome del senatore allora promotore della legge).

 

Solo che dal 2000 la legge è stata rifinanziata sempre con gli stessi soldi: 4,6 milioni l’anno (dunque assottigliati già solo da inflazione e crisi), stanziamento che al momento consente di entrare in questo circuito lavorativo soltanto a 2.257 detenuti su 66.000.

 

E siccome i soldi per quest’anno arrivavano a malapena ad agosto, i posti di lavoro si sono già ridotti. In Lombardia, ad esempio, i detenuti impiegati da ditte esterne sono stati nei primi 6 mesi dell’anno 310 contro i 470 del primo semestre 2011; e comincia a dover fare i conti con la situazione anche il caso-pilota di Padova, che oggi sarà visitato dal ministro della Giustizia Paola Severino e dove i detenuti impiegati dal «Consorzio Rebus» gestiscono il call center delle Asl venete, assemblano valigie di una nota marca, costruiscono 150 bici l’anno, digitalizzano i servizi delle Camere di Commercio, ricevono premi internazionali per il famoso panettone (63.000 confezioni a Natale) culmine della loro pregiata pasticceria...

 

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