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02/12/24 ore

Egitto, il golpe di velluto di Morsi



di Bernardo Valli

 

La Primavera araba, versione egiziana, conosce una nuova, sorprendente fase. Muhammad Morsi era fino a pochi giorni fa un presidente dimezzato. Infatti, nonostante l'elezione al suffragio universale, era relegato in un angolo, privo di reali poteri, dagli onnipotenti generali del Supremo Consiglio delle Forze armate (Scaf). Oggi è un capo dello Stato con ampi, anzi illimitate prerogative, in quanto non precisate da una Costituzione. La quale non esiste. È ancora da scrivere. Non si sa neppure con esattezza quanto debba durare il mandato presidenziale.

 

Ieri Morsi era un leader più dignitoso del previsto, è vero, più deciso a farsi valere di quanto si pensasse, ma prigioniero di una situazione umiliante, senza via d'uscita. Adesso preoccupa per i troppi poteri senza controllo di cui dispone.

 

In un processo rivoluzionario le regole, le procedure contano poco, vengono stravolte. Esistono per essere violate. E gli effetti dell'insurrezione di piazza Tahrir, esplosa nell'inverno del 2011, si sono tutt'altro che spenti. Se non proprio inaspettati, sono singolari. Provano che la transizione continua.

 

Senza colpo ferire, come dotato di una bacchetta magica, il borghese disarmato Morsi, un tecnocrate, ha mandato in pensione i principali componenti dello Scaf, li ha decorati (non senza ironia) con il Collare del Nilo, la più alta onorificenza egiziana, li ha declassati a consiglieri ben retribuiti, compiendo quel che è in apparenza un vero colpo di Stato. Non violento. Soffice. Ma vistoso.

 

Non ci si aspettava un'azione tanto decisa, audace, da un notabile giudicato di seconda mano. La stessa Confraternita dei Fratelli Musulmani, di cui fa parte, l'aveva scelto come un candidato di ripiego alle presidenziali. Invece soldati prestigiosi, ritenuti inamovibili, hanno accettato senza fiatare le sue decisioni...

 

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