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02/12/24 ore

Renzi promosso con debiti



Deputato per quarant’anni, Gerardo Bianco è una delle espressioni più significative del cattolicesimo politico italiano. Protagonista dell’ultima battaglia all’interno dell’ex DC (divenuta Partito Popolare), quando nel 1995 si oppose al segretario Rocco Buttiglione che aveva deciso di allearsi con il centrodestra di Berlusconi, Bianco è stato tra i promotori dell’Ulivo, la coalizione di centrosinistra uscita vincente alle elezioni politiche del 1996. Al momento della nascita del Partito Democratico dalla fusione tra Margherita e Democratici di Sinistra, passa al gruppo misto di Montecitorio.

 

Da sempre critico verso le degenerazioni della lotta politica, nello scenario italiano si distingue per onestà intellettuale e limpidezza dell’analisi interpretativa dei processi storici e istituzionali, come dimostra anche in questa intervista su Quaderni Radicali 111.

 


 

Dopo aver assunto la segreteria del Partito Democratico, Matteo Renzi nel febbraio 2014 è diventato anche premier. Di questi due anni quale valutazione ritiene che si possa dare?

 

Dal punto di vista dell’azione politica, l’aspetto che ritengo positivo riguarda in primo luogo l’energia da lui dimostrata come presidente del Consiglio. Non farei tante distinzioni tra segretario del partito e capo del governo, perché oggi la politica è sostanzialmente concentrata nel leader di governo. È inutile discutere di un problema che andrebbe affrontato nell’ambito di una più generale ricostruzione dei partiti e non per quella che è la realtà oggi. Essendo spariti i partiti tradizionali, con il loro ruolo storico e la loro ideologia, c’è una situazione totalmente nuova, sia dal punto di vista politico che culturale. Nella realtà contemporanea tutto è giocato sul presente, il passato conta poco.

 

Il modello ideale della rottamazione, con il quale Renzi si è affacciato sul proscenio politico, porta con sé l’abbandono dei collegamenti con la storia passata. È una concezione piuttosto debole, ma che serve nella vita politica attuale. Renzi, con energia, ha interpretato tutto questo scalzando la classe dirigente del passato, rimasta ancora a galla sebbene le ultime strutture politiche sono evaporate. Mi riferisco soprattutto all’Ulivo secondo il modello concepito in origine, non quello poi stravolto nella sua interpretazione.

 

L’Ulivo nasce da due tradizioni politiche e culturali diverse (cattolica e comunista) a cui si aggiungono altre tradizioni come quelle laiche, che inizialmente avevano all’interno dell’Ulivo un grande peso (basti pensare al ruolo di Antonio Maccanico): tutti confluiscono nell’Ulivo, ma con l’idea ben precisa che ciascuna forza politica faceva un accordo di programma per il governo del Paese senza perdere i loro riferimenti culturali. Tutto questo è andato poi perduto. Una prima distruzione si è avuta con l’intervento della magistratura, che determinò la sparizione dei partiti tradizionali. Poi ve ne è stata un’altra, quando le forze che erano sopravvissute, cambiando pelle, sono state demolite dai loro stessi protagonisti che hanno compiuto tanto repulisti interni, quanto forzate intese prive di un vero programma comune...

 

- prosegui la lettura su Quaderni Radicali

 

 

 


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