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30/11/24 ore

Mondo globale e crisi globali. Il contenzioso tra Cina e Taiwan



L’abbattimento del Muro di Berlino ha segnato un passaggio epocale con l’apparente fine del bipolarismo e delle sfere di influenza scaturite da Yalta e l’apparente sorgere di un mondo multipolare con il venire alla ribalta di nuovi attori emergenti. Oggi però di nuovo tutto sembra venire messo in discussione a cominciare dalla crisi Ucraina che ripropone lo spettro di una riedizione della "cortina di ferro" di due blocchi in Europa sia pure geoeconomici e non più geomilitari e strategici.

 

Non possiamo prevedere gli sviluppi futuri nel medio e lungo termine, ma sin da subito appare evidente che il sogno di una Europa come entità geopolitica ed economica continentale è profondamente in crisi, peggio, su di essa tornano ad avere un ruolo predominante le vecchie capitali del bipolarismo, Mosca ed Washington.

 

Nel frattempo il mondo è però divenuto globale e gli interessi geopolitici e geostrategici travalicano i confini dei continenti; la Federazione Russa incalzata da una Unione Europea spesso velleitariamente solo geofinanziaria e principalmente volta alla conquista in posizione predominante di nuove aree di mercato e di profitto in ottica bancaria, comincia a pensare a forme di ritorsione quali la riduzione od il drastico taglio delle forniture energetiche, nello specifico di quelle del gas di cui l’Ucraina, terra di transito, ha sinora usufruito con una certa intraprendente azione politica e commerciale.

 

L’Unione Europea incalza e contende alla Federazione Russa sfere di influenze e mercati, allora il "rubinetto" del gas viene chiuso ed il suo flusso commercializzato in altre aree geoeconomiche, quali la Cina continentale assetata di energia per sostenere il suo esponenziale sviluppo economico. Attraverso il gas la Federazione Russa può anche attuare uno strumento di pressione e di controllo verso una Nazione con la quale in passato non sono mancate tensioni persino conflittuali.

 

Ma questa ripuntualizzazione di interessi e di relazioni economiche sembra avere prodotto ripercussioni nell’area, ad esempio tra l’Isola di Taiwan, la cui denominazione ufficiale è Repubblica di Cina, Roc nell’acronimo inglese, e la Repubblica Popolare Cinese, la Cina continentale con capitale Pechino che ritiene Taiwan una provincia ribelle da ricondurre nel tempo, sia pure in prospettiva temporale orientale, all’ovile di una unica Cina nell’ottica del concetto secondo la visione di Pechino. Sullo sfondo il Giappone potenza nella sfera di influenza asiatica degli Stati Uniti d’America.

 

Una situazione, quella tra Repubblica di Cina e Repubblica Popolare Cinese, che trae origine dalla rivontale) si ebbe nel 2008 con l’insediamento a Taipei del Presidente della Repubblica di Cina a Taiwan Ma Ying-jeou, che trovò un compromesso con Pechino con i suoi triplici "no": no all’unificazione, no all’indipendenza e no all’uso della forza, che non solo congelarono le tensioni, ma aprirono ad una stagione di intensa collaborazione tra le due capitali, Pechino e Taipei, liberalizzando i collegamenti e i movimenti delle persone tra le due sponde dello Stretto che sino ad allora avvenivano in modo parossistico, con indubbio vantaggio per entrambe le parti e, in particolare, per il Presidente Ma eletto per un secondo mandatoluzione comunista di Mao Tse-tung, che al termine della famosa "lunga marcia" costrinse il governo legittimo, erede della prima democrazia asiatica sorta a Nanchino il 10 ottobre 1911, a ripararsi sull’Isola si Taiwan, portando con se tutte le vestigia della cultura cinese che in questo modo sono state salvate dalla furia iconoclasta delle "guardie rosse".

 

Nei decenni i momenti di crisi si sono ripetuti, anche perché nella classe dirigente della Cina continentale ci sono gruppi orientati a risolvere la questione con la forza militare tanto che, in un passato anche recente, non hanno avuto alcuna remora a dispiegare centinaia di vettori puntati sull’Isola "ribelle".

 

Una svolta profonda nei rapporti tra le due sponde dello Stretto (quello che separa Taiwan dalla Cina continentale) si ebbe nel 2008 con l’insediamento a Taipei del Presidente della Repubblica di Cina a Taiwan Ma Ying-jeou, che trovò un compromesso con Pechino con i suoi triplici "no": no all’unificazione, no all’indipendenza e no all’uso della forza, che non solo congelarono le tensioni, ma aprirono ad una stagione di intensa collaborazione tra le due capitali, Pechino e Taipei, liberalizzando i collegamenti e i movimenti delle persone tra le due sponde dello Stretto che sino ad allora avvenivano in modo parossistico, con indubbio vantaggio per entrambe le parti e, in particolare, per il Presidente Ma eletto per un secondo mandato.

 

Questi fragili equilibri sono stati rimessi in discussione con la crisi della cosiddette "isole contese"in realtà due scogli di quasi nullo interesse se non per le ricchezze dei loro fondali legati al concetto di area di interesse economico esclusivo, strettamente legato a quello di sovranità su quel piccolo lembo di terre emerse.

 

Quando il problema si pose con un sorgere di tensioni con il mostrare anche la forza militare, Taiwan sembrò stemperare le contrapposizioni con un atteggiamento coerente con il pragmatismo che aveva caratterizzato l’inizio del primo mandato del Presidente Ma Ying-jeou, poneva l’accento sugli aspetti economici e dello sfruttamento pacifico delle risorse con l’affermazione che mentre la sovranità è un concetto assoluto ed indivisibile, le risorse possono essere condivise con vantaggio di tutti gli attori.

 

Questa volta il pragmatismo sulle cose reale, sugli interessi economici contingenti è stato condizionato da altre considerazioni, probabilmente dalla comune preoccupazione di Taiwan e Giappone nei confronti della politica egemone della Cina continentale che metteva a repentaglio da un lato l’indipendenza e la sovranità di fatto dell’Isola, dall’altro poneva il Giappone sotto sindrome da accerchiamento con il risultato di spingere entrambi le parti a superare le storiche contrapposizioni ed a siglare un accordo congiunto dal quale veniva tenuta fuori la Cina continentale.

 

Siamo in Oriente e i tempi e i modi di reazione sono differenti e di natura diversa da quelli che caratterizzano le relazioni da noi in Occidente. La risposta di Pechino arriva dopo oltre un anno. l’11 giugno 2014, con una affermazione apparentemente non bellicosa dell’Ufficio per gli Affari di Taiwan (Tao, Taiwan Affairs Office) di Pechino, secondo cui il futuro di Taiwan interessa tutto il popolo cinese. Immediata, nello stesso giorno, la risposta del Presidente di Taiwan Ma Ying-jeou che ha dichiarato che la Repubblica di Cina (Taiwan) è uno stato sovrano e che il futuro del Paese è, per i suoi 23 milioni di abitanti, da decidersi nel quadro della sua Costituzione. Il Presidente Ma, che ha rilasciato la dichiarazione attraverso Ma Wei-kuo, portavoce dell’Ufficio Presidenziale, si è definito solido come una roccia su questa posizione.

 

Di fatto con questa drastica affermazione di sovranità costituzionale sembra venire meno almeno il secondo dei tre "no" che sinora avevano caratterizzato la politica di Taipei nei suoi rapporti con Pechino, anche se il Consiglio per gli Affari Continentali di Taiwan (Mac, Mainland Affairs Council), l’omologo del Tao della Cina continentale, la politica del governo taiwanese in merito alle relazioni nello stretto è a favore del mantenimento dello status quo, sotto il principio del "no all’unificazione, no all’indipendenza e no all’uso della forza" rimane inalterata. Secondo quanto ribadisce il Mac c’è ampio sostegno a questa politica in tutta Taiwan, che riafferma che il futuro della Nazione può essere determinato solamente dal proprio popolo.

 

Ed effettivamente su questa linea politica a Taiwan c’è ampia concordanza di vedute e di posizioni. Il Kuomintang, partito di maggioranza, e il Partito Democratico Progressista, partito di opposizione, si sono infatti trovati uniti ed hanno espresso al Governo di Taipei la condivisa disapprovazione nei confronti della dichiarazione dell’Ufficio per gli Affari di Taiwan, il Tao che interpreta il punto di vista del Governo di Pechino sull’Isola e sul suo futuro.

 

Sotto certi aspetti il riacutizzarsi delle tensioni nell’area non ci coglie di sorpresa; come notavamo in apertura di articolo in questo frangente storico vengono rimessi in discussione a livello planetario gli equilibri geopolitici che avevano caratterizzato il periodo successivo all’abbattimento del Muro di Berlino, in particolare le relazioni della Federazione Russa con l’Unione Europea, gli Stati Uniti d’America e la Cina continentale, verso la quale, appunto, sono state aperte interessanti prospettive di forniture energetiche, forse a scapito dei flussi verso l’Europa.

 

Sono segnali da cogliere e da valutare, focalizzando l'attenzione sulla loro futura evoluzione.

 

Giorgio Prinzi

 

 


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