Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

29/11/24 ore

Intorno all’assemblea del Partito Democratico


  • Silvio Pergameno

È abbastanza naturale che dell’Assemblea del Partito si discuta parecchio sotto il profilo divinatorio circa l’esito della consultazione, cioè della schedina da compilare (1 Renzi – x Bersani - 2 Vendola: rispettivamente vittoria in casa, pareggio, vittoria fuori casa) o sotto quello parolibero delle possibili conseguenze sul “dopo” (chi vinca vinca, come faranno ad andare d’accordo vista la distanza siderale che divide i famosi “programmi”?); ma, a ben vedere, di materia per discutere di queste primarie ce n’è tanta che ci si potrebbe scrivere sopra un’enciclopedia.

 

Pensiamo prima di tutto all’esame di ammissione: se si tratta di presentare un partito che rappresenti se stesso è un conto e le cose si possono fare in famiglia iure proprio, in senso stretto, o al massimo iure communi, cioè allargandola anche ai parenti alla lontana, ma se ci si vuole creare uno strumento per avvicinare i cittadini, l’elettorato oggi quanto meno…perplesso (diciamo eufemisticamente) davanti alla politica e ai partiti, allora il discorso cambia.

 

Bersani ha fatto un’osservazione giusta: per ora è stata decisa solo l’abrogazione dell’art.18, quello dello statuto del partito (non dello statuto dei lavoratori…) quello che stabiliva che il candidato premier era il segretario del partito, con la conseguenza che tutto il resto si farà in segreteria. E qui nascono i problemi .Mettiamo che si presenti un…provocatore: che si fa? E soprattutto: chi voterà?

 

Ma c’è anche un altro profilo di grande interesse. Come valutare l’innovazione? Certo c’è stata l’apertura a più candidature, ma i problemi cui si accennava restano tutti. Certo si può stabilire che chi vuol essere candidato debba presentare la domanda con un corredo di firme, ma quante? E quanto tempo per raccoglierle? Autenticate o magari raccolte nelle sedi del partito in cui si verifichi almeno l’identità di chi firma?  Oppure sarà la segreteria del partito a stabilire quali potranno essere o quali saranno i candidati e gli elettori?

 

 Dai tempi della Bolognina sono passati più di venti anni e forse oggi qualcosa si sta muovendo. Soprattutto, perché, come sempre in politica, è arrivato un rompiscatole che le cose in qualche modo è stato in grado di farle smuovere. Ma le nomenklature i rompiscatole non solo li hanno sempre detestati, ma hanno anche sempre tentato di farli fuori (tra i radicali, per esempio, c’è qualcuno che ne sa qualcosa…).

 

Il Renzi sembra uno che cammina su una corda tesa e dice anche cose nuove, per esempio l’appello rivolto ai delusi di Berlusconi: è un appello che si rivolge anche a un pubblico non di sinistra e, forse al di là delle intenzioni, presuppone che si faccia poco conto di vecchie distinzioni, deve ritenere che esista un elettorato mobile che può passare dalla destra alla sinistra e implica che la sinistra qualche nemico a sinistra finisca con il doverlo lasciare.

 

Povero Renzi! Senza di lui ci sarebbero state le primarie? Bersani non lo vuole nemico e non lo ha scontentato, ma da tante parti certo è che gli hanno detto di tutto: che è antipatico perché affetto da fiorentinismo, che è andato ad Arcore e parla come un berlusconiano, che vuole privatizzare persino l’INAIL, che abbia già speso due milioni di euro per la sua campagna primariale…., ma almeno nessuno lo ha ancora accusato di banchetti con ostriche e tartufi….mentre il Pier Luigi all’Assemblea si è costruito una posizione di centro, con spazi da gestire.

 

Solo che il discorso non si chiude qui: anzi proprio da qui comincia, quanto alla credibilità esterna, perché con una formazione estesa tra convinti fautori del Monti-bis e accaniti sostenitori di un Antimonti a tutto tondo forse si può fare un partito di opposizione, ma uno di governo pare proprio difficile che possa reggere. Sono alla fine d’accordo con Danilo di Matteo, perché il problema è quello di dover fare i conti con il convitato di pietra, cioè con la tradizione liberale, che sola può ispirare riferimenti certi in materia di rottamazione e di ricostruzione istituzionale, con una vera divisione dei poteri e una vera trasparenza (glasnost, tanto per farci capire…).


Aggiungi commento