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03/12/24 ore

Caso Sallusti, la verità non è solo un “Fatto quotidiano”


  • Luigi O. Rintallo

Il pezzo forte del repertorio di Marco Travaglio in tv è quando, di fronte agli attacchi degli altri ospiti in studio, si stampa il sorriso ironico in volto, spalanca di più gli occhi e dichiara più o meno: “Ma io racconto solo fatti”. Provatevi a smentirmi, è il sottinteso, visto che quanto affermo è verità. Il più delle volte, l’interpretazione riesce benissimo e ottiene l’esito voluto, anche perché in effetti è molto difficile che l’editorialista del «Fatto» scriva o dica cose non vere.

 

Eppure la verità non coincide soltanto col racconto di fatti veri, ma dipende anche da altri elementi. Ad esempio, dall’esatta disposizione temporale dei fatti stessi o dal contesto di azioni/reazioni che essi determinano; o, ancora, dal confronto tra situazioni identiche che hanno tuttavia esiti diversi. Insomma, la verità è qualcosa di molto più complesso di un fatto.

 

Per capire meglio quel che vogliamo dire, prendiamo l’articolo che Travaglio ha scritto il 28 settembre sul caso Sallusti. Travaglio sostiene che, per risolverlo, “sarebbe bastato poco: che Sallusti si scusasse con il giudice Cocilovo per le infamie scritte su «Libero» da Renato Farina col comico pseudonimo ‘Dreyfus’ e risarcisse il danno, in cambio del ritiro della querela che avrebbe estinto il processo prima della Cassazione”.

 

È tutto vero, ma chi legge capisce che Sallusti non ha versato alcun risarcimento al giudice Cocilovo, mentre invece quest’ultimo ha già ottenuto 30.000 euro come riparazione all’offesa patita. Per fermare il processo, prima della sentenza di Cassazione, attraverso i suoi legali ne chiede altri 20.000 da devolvere in beneficenza. Travaglio riporta questa intenzione (“Cocilovo s’è detto disponibile, annunciando che avrebbe destinato il risarcimento a una onlus”), ma il lettore non sa che ci si riferisce soltanto alla quota aggiuntiva di 20.000 euro.

 

Avendo rifiutato di scusarsi e anzi rivendicato in tv l’articolo diffamatorio come “libera opinione”, prosegue Travaglio, Sallusti ha montato in realtà un caso politico. Solo che “qui di politico non c’è un bel nulla: c’è un giornale che mente sapendo di mentire, scrivendo che Cocilovo ha ‘ordinato’ a una ragazzina ‘l’aborto coattivo’ […] Peccato che fosse la ragazza a voler abortire all’insaputa del padre e insieme alla madre avesse chiesto il permesso al giudice: l’avevano scritto l’Ansa e tutti i giornali, tranne «Libero», che poi si guardò bene dal rettificare la maxi balla”.

 

Anche qui: i fatti ci sono, ma non in questa sequenza e non secondo i rapporti descritti nell’articolo di Travaglio. A dare la notizia, nei termini inesatti di una ragazza “costretta ad abortire”, è «La Stampa» che così titola in prima pagina il 17 febbraio 2007. Farina-Dreyfus, commenta la notizia su «Libero» del giorno dopo quando l’Ansa ha riportato una rettifica, ma non tutti i giornali.

 

Tant’è vero che ancora il 18 febbraio, sempre «La Stampa», pubblica un’intervista all’on. Binetti che interviene per criticare quanto avvenuto, sempre convinta che la ragazza non volesse abortire. Il giudice Cocilovo querela «Libero» e, qualche tempo dopo, querela anche «La Stampa», che solo a un mese di distanza pubblica nelle lettere (e non certo in prima pagina) la rettifica del Tribunale (che pare, a quanto dice la direzione di «Libero», non sia mai stata loro inviata).

 

Come si vede, il percorso verso la ricostruzione della verità è assai tortuoso e non bastano la successione di fatti separati a renderlo lineare. La colpa di Farina (e di «Libero») è quella di non aver comunicato – una volta giunta, con ritardo, la smentita - di aver espresso giudizi a partire da una notizia falsa.

 

Quanto al fatto che il procedimento non poteva che concludersi così, nessuno può crederlo davvero; nemmeno Travaglio. L’applicazione della legge è infinitamente versatile nelle mani dei giudici, tant’è vero che la stessa procura in Cassazione rilevava la mancata concessione della condizionale nei primi giudizi. La sentenza di tali rilievi non ha tenuto conto, mentre poteva farlo e tutto sarebbe stato diverso.

 

Ancora una volta, media e sistema giudiziario, appaiono come il luogo privilegiato delle logiche puramente strumentali, da una parte come dall’altra: con Sallusti che trasforma un errore in un martirio, e coi suoi avversari che negano l’evidenza della loro avversione preconcetta. Pare davvero impossibile trovare uno spazio per un giudizio equanime.

 

Intanto poco si sottolinea come l’aggravante per il cattolico Farina è nell’aver auspicato la pena capitale a persone che hanno comunque vissuto un dramma ed è strano come ciò passi quasi in secondo piano rispetto a tutte le discussioni odierne attorno al processo e delle quali si poteva, in fondo, fare a meno.


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