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04/12/24 ore

Senato, l’inganno della riforma costituzionale



La riforma costituzionale in corso di approvazione ha alimentato delle enormi aspettative. Il Governo ha presentato tale riforma come il punto di svolta per risollevare il Paese dalla crisi in cui versa da anni. Non voglio entrare nel merito della retorica del "cambiamento" sulla quale il Governo Renzi ha scommesso le sue sorti, ma vorrei osservare più pacatamente la questione senza evocare ipotetici benefici sul piano economico da parte delle riforme istituzionali.

 

Le riforme istituzionali sono certamente importanti e sicuramente hanno anche degli effetti sul piano economico, ma mi sembra molto difficile poterli valutare in anticipo. Forse sarebbe meglio valutare gli effetti politici diretti di tali riforme, molto più semplici da osservare.

 

Il disegno generale di riforma si compone di tre elementi tra loro profondamente collegati. La lettura di ogni singolo elemento non permette di mettere in chiaro le finalità generali del Governo. Questi tre elementi sono la riforma del Senato, la riforma del titolo V e la riforma della legge elettorale.

 

La riforma del Senato rappresenta il punto centrale di questo disegno che sembra puntare a rafforzare la capacita decisionale dell'esecutivo. Tutto ciò non rappresenta necessariamente un male. Anzi è da molti decenni che si auspica tale rafforzamento. Tuttavia mi sembra che la strada scelta per ottenerlo nasconda un inganno. Infatti, tale rafforzamento non avviene mettendo mano ai poteri dell'esecutivo in costituzione o riformando la stesa forma di Governo, ma attraverso l'indebolimento politico del Parlamento.

 

Il Senato che uscirà dalla riforma avrà pochi poteri rispetto alla Camera e una scarsa legittimità. Ben venga il superamento del bicameralismo paritario che ha causato molti problemi al nostro asseto istituzionale. Tuttavia bisogna rilevare che la composizione e i poteri del nuovo Senato lo renderanno un contrappeso del tutto inutile.

 

Si è spesso parlato di Senato delle autonomie, ma di quali autonomie si sta parlando? La riforma del titolo V mete fine a qualsiasi discussione sulle autonomie. Il ritorno alla centralizzazione dopo il disastroso regionalismo, rimette gli enti locali al servizio del centro. Il sistema dei trasferimenti dà al centro un potere di borsa che impedisce di ragionare in termini di autonomia. Comuni e Regioni possono essere considerate come si vuole , ma autonome no di sicuro.

 

Tuttavia, se nella riforma del Senato è possibile ravvisare qualche pregio, lo stesso non si può dire per la riforma elettorale. Si è semplicemente passati dal “porcellum” al “porcellinum”. Qualche limatura non rende questa legge migliore della precedente. Ne risulterà una Camera di nominati o scelti con le preferenze (per come funziona in Italia il sistema delle preferenze c’è da aspettarsi che i nominati forse saranno migliori) a fianco di un Senato di autonomie inesistenti.

 

Si è parlato di deriva autoritaria del Governo Renzi, ma lo si è detto di tutti gli ultimi governi da vent’anni a questa parte. Il problema non mi sembra la deriva autoritaria (che non escludo possa esserci nel nostro Paese ma non certo per tali riforme). La questione che mi preme sottolineare è che la riforma produrrà, al contrario di ciò che afferma il Governo un evidente disequilibrio tra i poteri della Repubblica. Qui sta l’inganno della riforma. L’esecutivo resta tecnicamente debole, poiché non si sono ridefiniti i suoi poteri formali, e si indebolisce il potere del Parlamento. C’è da chiedersi a benefico di chi si produca questo sistema.

 

Mi sembra chiaro che il disegno della riforma beneficia in termine di potere chi sarà in grado di comporre le liste per l’elezione della Camera e di influenzare le scelte dei senatori. Saranno i segretari di partito ad avere il reale potere decisionale. Che cambiamento è? Come ci ha insegnato il Gattopardo; tutto cambia affinché tutto resti come è.

 

 


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