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30/11/24 ore

Il movimento “disciplinato” a 5 stelle



Da molto tempo la funzione del parlamentare nelle democrazie moderne ha cambiato radicalmente volto. L’idea del parlamentarismo ottocentesco in cui ogni singolo parlamentare esprimeva una propria autonomia decisionale, ha lasciato il posto alla disciplina di partito. Comunque si possa giudicare tale fenomeno, è chiaro che esso ha ridotto la capacità (costituzionalmente tutelata) del singolo parlamentare di esercitare la sua funzione senza vincolo di mandato agendo in “scienza e coscienza”, rispondendo solo agli elettori.

 

L’emersione dei partiti ha imposto la disciplina parlamentare come criterio di “omogeneità” (io direi di omologazione) delle funzioni del singolo parlamentare. Pare che questo rappresenti un dato evidente in tutte le democrazie contemporanee. Tuttavia, la disciplina dei gruppi parlamentari ha effetti differenti nei diversi contesti nazionali.

 

In molti casi la disciplina viene bilanciata da altri fattori legati alle esigenze di rielezione del singolo parlamentare in modo da garantire un equilibrio tra le esigenze di coesione interna del gruppo e di autonomia del singolo. In Italia la disciplina ha assunto invece il criterio della “fedeltà” ad un partito tale da umiliare la reale autonomia decisionale del parlamentare e trasformare il processo legislativo in un accordo di partiti spesso elaborato al di fuori delle istituzioni.

 

Questo fenomeno non trova nel sistema italiano alcun freno e limite. Anzi le continue leggi elettorali su base proporzionale hanno favorito lo spostamento della fiducia degli elettori da una singola persona al partito. Fenomeno che ha concretamente favorito la degenerazione della classe politica asservita alle logiche di partito.

 

Un indice chiaro ed evidente della partitocrazia consiste proprio nella massima “disciplina” dei parlamentari al gruppo. Per questo motivo, spinto da curiosità, ho deciso di andare a controllare (grazie all’ottimo lavoro di openpolis.it) alcuni dati per verificare quali fossero i gruppi parlamentari con il minor numero di parlamentari “ribelli”. I numeri che ho trovato mi hanno letteralmente sorpreso.

 

Il gruppo parlamentare che mostra di gran lunga rispetto a tutti gli altri gruppi il numero più basso di voti ribelli è quello del movimento 5 stelle. Nessuno dei 106 deputati del movimento 5 stelle ha mai espresso più di 20 voti ribelli (il record spetta all’On. Giulia Grillo con 16 voti ribelli).

 

Per intenderci il gruppo del Partito democratico (293 deputati) ha 45 deputati che hanno votato almeno 20 volte in dissenso, Sel 7 deputati, Fratelli d’Italia 7 deputati , la lega 11 deputati, Forza Italia 45 deputati e Scelta civica 19 deputati. I dati del Senato sono meno netti rispetto alla Camera e mostrano una maggiore conflittualità interna. Sarebbe interessante approfondire questa evidente differenza tra i due gruppi di Camera e Senato. Certo è che le maggiori critiche al movimento sono sempre emerse dai Senatori. In ogni caso, restando sul dato del gruppo della Camera si possono porre delle domande.

 

Come si può spiegare una disciplina così ferrea da surclassare persino gli eredi del vecchio PCI? Come è possibile che 106 persone siano “in scienza e coscienza” sempre d’accordo su ogni singolo voto e tema trattato?

 

Si tenga presente che i voti espressi alla Camera in una anno sono migliaia su altrettanti temi diversi. Le risposte, a mio parere, possono essere due.

 

1) Obbedienza ad un potere esterno che impone l’omologazione minacciando sanzioni. Le malelingue potrebbero pensare al duo Grillo/Casaleggio. Io non saprei dare una risposta certa. Di sicuro le “epurazioni” in area grillina sono sempre maturate “dall’alto”.

 

2) Una fiducia totale nelle decisioni del gruppo tale che sulle mille tematiche trattate il singolo si rimette alle indicazioni del gruppo. Ma una fiducia espressa in questo modo assomiglia alla fiducia del fanatico, cieca, totale e indiscutibile.

 

In entrambi i casi il singolo parlamentare rinuncia alle proprie prerogative venendo meno alle sue funzioni di controllo e di indirizzo politico cedendole, o per consenso o per obbedienza, ad altri. La disciplina di partito, in questo senso, rappresenta uno degli effetti della partitocrazia che il movimento 5 stelle dice di voler combattere.

 

Come ho detto in premessa, forme di disciplina esistono in tutte le democrazie come esigenza per rendere efficace una posizione politica. Ma è necessario attivare meccanismi che bilancino tale fenomeno per evitare le peggiori degenerazioni del parlamentarismo alla quale stiamo assistendo. Tuttavia, pare che nel movimento 5 stelle questo problema non sia affatto sentito.

 

Questo “eccesso di disciplina”, che si è espresso anche in atti e parole soprattutto nei giovani Deputati del movimento 5 stelle, mostra un atteggiamento da “fanatico fervore rivoluzionario” di cui il paese non ha sicuramente bisogno.


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