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02/12/24 ore

La giustizia e le riforme istituzionali


  • Silvio Pergameno

Ancora una volta le riforme costituzionali prendono l’avvio non con un preliminare dibattito politico nel parlamento e nel paese, come fu nel 1946, ma con la nomina di una Commissione (di politologi e giuristi di chiara fama), rafforzata per di più da quella di un Comitato, composto da venti senatori e venti deputati.

 

Eppure le riforme che oggi sarebbero necessarie non sono meno importanti di quelle che segnarono il passaggio dallo statuto albertino alla vigente Carta della Repubblica; soprattutto se si pensa che nel 1946 la vera svolta fu segnata dal referendum “monarchia – repubblica”, dopo di che il “resto” aveva un percorso già abbastanza segnato, politicamente segnato, si vuol dire, al punto che il testo scritto ha subito nel tempo, per vie di fatto e opportune interpretazioni, un cammino dettato dalla prevalenza dei partiti sulle istituzioni.

 

Ed è proprio per questa ragione che la riforma della costituzione si trascina da trent’anni senza esiti di rilievo e che anche questa ennesima partenza rischia di avviarsi su una strada che non porta da nessuna parte: non si spiega altrimenti l’esclusione dal programma riformatore della sezione IV della parte II della Costituzione, cioè quella che contiene le norme fondamentali sulla magistratura.

 

Punto ovviamente dolente e di berlusconiana centralità, che quindi permane nel sottofondo e, dovesse riemergere, provocherebbe seri conflitti sia in seno al Partito democratico che al Popolo delle Libertà (o come altro è destinato a chiamarsi). La controprova? L'ha fornita involontariamente pochi giorni fa il senatore Donato Bruno, quando ha presentato un emendamento al ddl sulle riforme costituzionali per includere anche innovazioni riguardanti la magistratura, in dipendenza delle riforme già incluse nel decreto.

 

Il merito non interessa molto ed è stato comunque recepito da un emendamento proposto dalla sen. Finocchiaro; ma quel che più ha colpito è stata la risposta di gran lunga prevalente e formale: cioè la chiusura del caso proprio con l’emendamento Finocchiaro. L’on.le Bruno è infatti un membro del Parlamento e come tale ha iniziativa legislativa e (art.67 della Costituzione) “rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.

 

L’on.le Bruno ha cioè esercitato un suo diritto, coperto da una garanzia che è fondamentale proprio per il funzionamento di una democrazia liberale: solo che nessuno si è ricordato di questa norma e tutti si sono appellati all’accordo tra PD e PdL, per il quale, come si è detto, la giustizia doveva restare fuori dal discorso.

 

Resta da dire che nell’incandescente materia della giustizia ci sono tante disposizioni che possono essere adottate con legge ordinaria: per le garanzie da assicurare al pubblico ministero la costituzione fa rinvio alle norme sull’ordinamento giudiziario, che sono stabilite con legge ordinaria; è una differenza netta fra i pubblici ministeri e i magistrati giudicanti e apre la strada alla separazione delle carriere; il principio costituzionale dell’obbligo del pubblico ministero di esercitare l’azione penale può essere poi regolato con legge per quanto ne concerne il concreto esercizio.

 

Le famose intercettazioni debbono essere disciplinate con legge, facendo salva la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, che sono inviolabili; per non parlare delle regole sulla carcerazione preventiva…discorsi fatti tante volte, ma sui quali è bene insistere.


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