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02/12/24 ore

Stefano Cucchi, per i giudici di botte non si muore


  • Florence Ursino

'Noi che invochiam pietà siamo i drogati'. Già, perchè Stefano Cucchi era un tossico, un debole, ragazzo di 31 anni divorato dalla vita. Per lui - Giovanardi dixit - non poteva esserci che quel destino lì, su un tavolo d'obitorio i 30 e poco più chili rimasti attaccati alle ossa di un corpo martoriato perché “sono migliaia le persone che per la droga diventano larve, diventano zombie: è la droga che li riduce così”.

 

E quando sei ridotto così anche una carezza può far male, un pugno può spezzarti, l'abbandono può ucciderti. Stefano Cucchi è stato arrestato, Stefano Cucchi è morto su un lettino d'ospedale: le invisibili parentesi tonde tra le due frasi parlano di ecchimosi, fratture, emorragie.

 

Eppure per i giudici della III Corte d'Assise di Roma, Stefano Cucchi sarebbe morto solo per l'incuria dei medici: omicidio colposo, il reato. Due anni di carcere per il primario Aldo Fierro; un anno e quattro mesi per i medici Stefania Cordi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis, Silvia di Carlo, otto mesi per Rosita Caponetti.

 

Per tutti, sospensione condizionale della pena. Per gli altri, tre infermieri e tre agenti della polizia penitenziaria, piena assoluzione: niente percosse, dicono i togati, niente abuso, niente brutalità. Il geometra drogato avrebbe dovuto essere trasferito in una struttura di terapia intensiva, per quel suo corpo consumato da una violenza pregressa non imputabile a nessuno, se non a lui stesso.

 

Avrebbero dovuto saperlo, i dottori, “la morte era prevedibile” - spiegava la maxi-perizia dello scorso dicembre - ma sono stati “negligenti”. Cucchi sarebbe dunque deceduto a causa di una “sindrome da inanizione, ossia una mancanza (o grande carenza) di alimenti e liquidi” sottovalutata dai medici. Fame e sete le armi, perchè di botte non si muore.

 

“Mio fratello non sarebbe morto senza quel pestaggio - dice Ilaria Cucchi, sorella di Stefano – Questa è una giustizia ingiusta. Si tratta di una pena ridicola rispetto a una vita umana. Sapevamo che nessuna sentenza ci avrebbe dato soddisfazione e restituito Stefano, ma calpestare mio fratello e la verità così...non me l'aspettavo”.

 

Se l'aspettava invece il senatore Giovanardi, quest'ultima parola dei giudici, perché “il tempo è galantuomo e fa giustizia sul linciaggio mediatico a cui sono stati sottoposti gli agenti di custodia sulla base di pregiudiziali ideologiche”.

 

Quegli stessi pregiudizi che vogliono un tossico morire da tossico, aiutato da quella 'malasanità' tanto familiare alla giustizia italiana. A quella stessa giustizia che oggi la memoria di Stefano mette alla gogna. Sembra sussurrare, lei: 'Che la pietà non vi sia di vergogna'.


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