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28/11/24 ore

Fabio Viglione su dramma carceri: i tanti suicidi sono la fotografia di una catastrofe umana, sociale, politica e istituzionale


  • Fabio Viglione

L’attuale situazione delle carceri italiane non può non essere posta al centro di una riflessione urgente ed accompagnata dall’assunzione di provvedimenti immediati.

 

È quello che chiedono a gran voce i penalisti italiani sottolineando il dato sconcertante relativo ai suicidi nelle carceri, in costante aumento. L’Unione Camere Penali ha dato vita ad un’iniziativa di sensibilizzazione sull’intero territorio nazionale oltre ad aver proclamato tre giorni di astensione dalle attività giudiziarie, nei giorni 10, 11 e 12 luglio.

 

Una maratona oratoria, organizzata nei luoghi pubblici in tante città italiane, ha dato sostanza all’iniziativa che ha puntato sul coinvolgimento della comunità per evitare di confinarsi in angusti ambiti settoriali dove l’ascolto rischia di essere riservato agli “addetti ai lavori”.

 

È importante sensibilizzare la comunità e raggiungere anche persone distanti per “dar voce a chi non ha voce”.  La Comunità non può rimanere estranea al dibattito e, per consentire profondità allo stesso, alla conoscenza. Solo la conoscenza effettiva stimola un piano di reale presa di coscienza e di sensibilizzazione. Un giro di chiave ed una porta in ferro che si chiude “al mondo dei liberi” non possono farci pensare che il problema non ci riguardi. C’è un mondo, quando si chiude l’accertamento processuale, che merita attenzione.  C’è un’umanità.

 

I dati sul sovraffollamento cronico sono un pugno nello stomaco. Una vera piaga che ciclicamente torna a manifestarsi rallentando il percorso di riabilitazione che non può che essere il vero obiettivo cui deve tendere la pena, anche in ottica costituzionale.

 

La carenza di spazi adeguati, poi, incide sulle condizioni di vita del detenuto e finisce per frustrare la funzione più dinamica della sanzione. Così, risocializzazione, reinserimento, rieducazione, finiscono per diventare parole vuote. Concetti troppe volte abusati, sempre evocati nei dibattiti ma privi di rapporto con la quotidianità della vita carceraria. Soprattutto nello scarto tra le buone intenzioni e la fredda realtà.

 

E tanto, anche a fronte di esempi virtuosi che molti operatori del settore ci offrono nella difficile quotidianità di lavoro.   Anche il loro lavoro si svolge in condizioni di addizionale disagio proprio con riferimento alla capienza delle strutture.

 

Attualmente nelle strutture ci sono 10.000 persone in più di quelle che potrebbero essere ospitate seguendo i parametri di vivibilità consona agli standard di spazio e vivibilità imposti anche dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

 

Questa grave criticità si ripercuote anche sugli operatori interni, sul personale addetto, sulla polizia penitenziaria su tutti coloro che sono chiamati a svolgere le loro delicate attività nell’ambito degli istituti.

 

Si crea così un ostacolo alle più virtuose prospettive cura e di fruizione dei programmi individuali e collettivi di positiva socializzazione all’interno degli spazi chiamati ad ospitare i detenuti. Dalle cure sanitarie alla sorveglianza, all’assitenza in generale nei molteplici aspetti.

 

Il sovraffollamneto è tossico, crea invivibilità, frustrazione, disperazione e mina il percorso che faticosamente proprio le strutture ed il personale sono chimati ad offrire nella quotidiana dimensione di una pena che si rifletta nella funzione risocializzante.

 

Ed è in questa situazione di oggettiva criticità, che investe gran parte degli istituti, balzano agli occhi prepotentemente i dati relativi ai suicidi che si registrano nelle carceri.

 

Sono proprio questi dati ad aver rappresentato il punto di crisi sul quale l’iniziativa dei penalisti si è meritoriamente inserita nella sensibilizzazione della drammatica tematica sulla quale ha richiamato, con appassionato impegno, l’attenzione della comunità.

 

Sono dati che, probabilmente, al di fuori dell’ambito di riferimento, in tanti non conoscono. 

 

I suicidi nelle carceri sono dieci volte maggiori rispetto al tasso medio dei suicidi delle persone in libertà.

 

Ad oggi, sono 54 i detenuti che si sono tolti la vita nel 2024. E siamo a luglio. In media, ogni quattro giorni, un detenuto si toglie la vita. Un numero davvero impressionante che deve farci riflettere.

 

E dovrebbe farci soffrire, oltre che riflettere, non può lasciarci indifferenti. In tanti, in troppi, si tolgono la vita all’interno delle strutture. 

 

Sono i gesti estremi che pongono fine ad una esistenza, spesso molto giovane, nella disperazione che diventa, evidentemente, insopportabile. Diventa una soluzione estrema quando il buio si impadronisce della vita e si perde ogni orizzonte di speranza. Senza contare poi, i tentativi di suicidio e gli atti di autolesionismo che si registrano con grande frequenza.

 

Non è più possibile non guardare a la drammatica realtà. Un sistema che non riesce a dare risposte immediate a questa terribile emergenza non è accettabile. Servono interventi immediati, tangibili, efficaci e non “pannicelli caldi”. Le strutture devono consentire al detenuto di riabilitarsi e non possono rappresentare luoghi di sofferenza e di disperazione all’interno dei quali non sia valorizzata nel percorso riabilitativo la centralità dell’uomo.

 

La  centralità della persona. Una persona che ha perso sì la libertà - ed è affidata alle cure dello Stato per scontare la pena o in attesa di giudizio - ma mai può perdere la dignità o può diventare, per i motivi più disparati, soggetto passivo di trattamenti degradanti. La  legalità vince contro l’illegalità proprio se il rispetto delle regole e la punizione sono in grado di mostrare un volto umano, credibile e rispettoso dei diritti.

 

Con declinazioni diverse, diritto alla salute fisica, psichica ed alla socialità. Una socialità virtuosa che gioca un ruolo fondamentale nel percorso. Le condizioni minime per intraprendere o continuare un itinerario riabilitativo passano inevitabilmente dal diritto effettivo di poter avere spazi adeguati nei quali trascorrere la giornata. Ed è lunga la giornata quando si è privati della libertà e finisce per complicarsi anche l’espletamento di quotidiane attività ordinarie.

 

Non è possibile pensare ad una sorta di extraterritorialità degli istituti carcerari nei quali per inefficienze croniche dello Stato si assista ad una sospensione delle garanzie fondamentali della persona che partono proprio dal rispetto della sua dignità di uomo. In queste condizioni, i più fragili, i più bisognosi di cure ed attenzioni costanti finiscono per abbandonarsi alla disperazione.

 

È il momento di dire basta. Lo impone la coscienza individuale e collettiva, lo impone il rispetto della Costituzione, lo chiedono, in silenzio, le migliaia di persone che vivono oltre un cancello che non può rappresentare il vuoto delle Colonne d’Ercole che dividono i due mondi. Pensare a  quelle celle affollate, a quegli spazi angusti, a quel disagio quotidiano ed a quella afflizione credo sia un dovere per chi si batte per la legalità, per il rispetto delle regole, per lo stato di diritto.

 

Non può essere un dolore circoscritto alle famiglie dei detenuti. Ora è tempo di dar forma a provvedimenti immediati ed efficaci. Non è più tempo delle contrapposizioni di bandiera su questi temi o delle dissertazioni accademiche. Ora serve un cambio di rotta ed una chiara volontà di intervenire con urgenza.  Ci auguriamo che la politica sappia farsi carico di questa emergenza ponendola tra le priorità d’agenda e le istituzioni sappiano adottare provvedimenti immediati. 

 

(foto da Caseper)

 

 


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