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01/12/24 ore

Unione Camere Penali Italiane: Maratona oratoria per la verità sulla prescrizione. L’intervento di Fabio Viglione



Verità sulla prescrizione, con questo slogan i penalisti italiani hanno dato vita a Roma, in Piazza Cavour davanti alla Corte di Cassazione, da lunedì 2 a sabato 7 dicembre, dalle ore 9 alle ore 20, ad una Maratona oratoria.

 

Lo scopo era quello di “raccontare all’opinione pubblica la verità sulle cause della durata irragionevole dei processi e su come diventeremo tutti ostaggi a vita dello Stato con l’abolizione della prescrizione. Centinaia di avvocati da tutta Italia per raccontare ai cittadini quello che accade realmente nei tribunali ogni giorno”. 

 

L’iniziativa è stata sicuramente un successo anche se l’intero sistema informativo – televisioni e carta stampata – ha quasi del tutto ignorato l’evento.

 

Di seguito Agenzia Radicale riporta la trascrizione dell’intervento, tenuto il 5 dicembre dall’avvocato Fabio Viglione, che da anni collabora con l’agenzia e con Quaderni Radicali.

 

 

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Processo ragionevole, tempi ragionevoli, secondo la Costituzione

 

di Fabio Viglione

 

Questa è una iniziativa importante, un momento importante di riflessione rispetto alla banalizzazione dei temi ed alla difficoltà a ricondurre questa battaglia di civiltà sul loro vero terreno. 

 

Primo spunto di riflessione: una informazione superficiale ha finito per fornire una interpretazione secondo la quale prescrizione è sostanzialmente un regalo al colpevole. Su questo punto si sono fatte convergere una serie di opinioni che hanno costruito la teoria che la prescrizione sia da considerare un male assoluto. Si è sostenuta la tesi che con la prescrizione non si va da nessuna parte e si mortifica il processo.

 

Ma se la Costituzione ribadisce che vi è una presunzione di non colpevolezza, una presunzione di innocenza  non è possibile praticare il sillogismo pericoloso secondo cui essere imputato significa essere colpevole. Si tratta di un sillogismo sbagliato, di un corto circuito. Ma come si esce da questo stato di cose, quali sono le sensibilità necessarie da sollecitare? 

 

In primo luogo bisogna ribadire che la prescrizione è un fallimento per tutti. Alla prescrizione non si deve arrivare.

 

È un fallimento per il sistema che non è in grado di giungere ad un accertamento di merito in tempi che comunque sono già sono previsti particolarmente lunghi. 

 

Il cittadino deve avere certezze per quello che è il suo percorso giudiziario, il suo destino non può essere abbandonato ad un tempo indeterminato di fronte alla potestà punitiva dello Stato che lo farà giudicare quando e se potrà. 

 

Se è chiara la nostra chiave di lettura rispetto alla prescrizione, occorre ribadire che la stessa informazione deve fare altrettanto e porre in modo corretto i termini della discussione. Si è detto: il processo deve essere velocizzato; si è detto che una giustizia lenta è una giustizia ingiusta. Tutto condivisibile.

 

Ma quali riforme sono state fatte negli ultimi tempi per giungere a realizzare questo obiettivo?

Partiamo dai procedimenti alternativi al dibattimento che non sono stati valorizzati, anzi sono stati addirittura annichiliti. Oppure guardiamo alle depenalizzazioni per i reati minori, per le contravvenzioni. La loro trasformazione in illeciti amministrativi ridurrebbe il carico dei procedimenti per lasciare spazio alla trattazione di delitti di effettivo allarme sociale. 

 

Guardando i dati si può rilevare che i procedimenti penali si prescrivono per il maggior numero nella fase delle indagini preliminari. Sono dati importanti e ci devono consegnare una impostazione del processo profondamente diversa.

 

Certamente il numero dei magistrati è inadeguato a fronteggiare il numero dei procedimenti e questo ci deve far riflettere. Ma di fronte a questo sento un grande silenzio.

 

Bisogna approfittare di questo momento in cui ci stiamo interrogando per cercare di metter in campo le energie migliori; per consentire una svolta affinché il processo sia costituzionalmente orientato alla ragionevolezza dei tempi. Processo ragionevole, tempi ragionevoli come ci dice l’articolo 111, comma secondo, della Costituzione. Bene, ispiriamoci alla Costituzione e cerchiamo di difenderla. 

 

Vorrei sapere, capire, a quale parte della Costituzione si ispira una riforma come questa che abolisce sostanzialmente l’istituto della prescrizione. A quale principio dei padri costituenti può dirsi ispirata una simile riforma. Che cosa consegneremo ai cittadini viene da chiedersi, proprio perché i danni, gli sconquassi di un simile intervento non si vedranno domani o dopodomani.

 

Ecco perché è ancora più importante la battaglia culturale che vogliamo fare. Questo non è il momento in cui si può sottovalutare il problema, da una parte e dall’altra. Non è un momento di corto respiro quello che stiamo affrontando. Se gli effetti non saranno apparentemente visibili domani o dopodomani ma vanno ben oltre, dobbiamo interrogarci se abbiamo un ruolo anche rispetto alla informazione esterna per quello che accade.

 

Finiamo spesso quasi per parlarci addosso noi avvocati, ci raccontiamo la quotidianità di quello che accade nei dibattimenti, nei processi. Possono cambiare i volti, i nomi ma lo scenario resta simile. Abbiamo un patrimonio comune, di esperienze, di quotidiano. Ebbene questo è un momento in cui dobbiamo far saltare questo qualunquismo e queste presunzioni fondate sul nulla.

 

L’abolizione della prescrizione non è un tema di fronte al quale si può essere timidi. Non è accettabile – lo ripeto – che un cittadino venga consegnato ad un giudizio eterno. Non è possibile agganciare questa riforma a nessun principio costituzionale, a nessun principio di giustizia giusta.

 

Cosa succederebbe se questa presunta riforma fosse riconsegnata alla storia, è bene dirlo, alla storia di questo Paese. Anche un cittadino assolto in primo grado dopo tanti anni di dibattimento e lunghe indagini verrebbe tenuto a bagnomaria, vedrebbe la propria vita messa in frigorifero in attesa di chiudere, non si sa quando, i conti con la giustizia. Dico questo perché non è secondario il tempo di sospensione. Il carico pendente stravolge la vita delle persone e non consente loro di collegarsi alla vita precedente alla incriminazione. Allora è proprio su questo che dobbiamo riflettere.

 

È mai possibile che una riforma del genere possa essere ritenuta qualcosa che va verso un miglioramento complessivo e qualitativo della giustizia? Che ci porta verso una giustizia più giusta che non consenta alla prescrizione di non intervenire allontanando la verità della ricostruzione di un fatto reato a cui tutti puntiamo?

 

Da ultimo voglio evitare un ulteriore equivoco, quello secondo cui questa battaglia si è fatta solo in favore degli imputati. Al contrario questa è una battaglia di civiltà che viene fatta anche e soprattutto in favore delle persone danneggiate da un reato, delle vittime, delle persone offese.

 

Il principio di un processo infinito non è accettabile per nessuno degli attori processuali. Non è pensabile che una persona offesa, una vittima di un reato, possa volere un processo infinito per vedere la propria domanda di giustizia essere soddisfatta.

 

Sembra quasi di vedere Orwell nel suo 1984 o Kafka nel processo senza tempo.

 

Un processo infinito non è un processo. Un processo deve avere un inizio e una fine e lo Stato deve garantire che sia un tempo definito a definire un accertamento. 

 

Grazie all’Unione della Camere Penali, al suo presidente Giandomenico Caiazza, ai tanti avvocati giunti a Roma da tutte le parti d’Italia per manifestare davanti ad un palazzo simbolo, qui in piazza Cavour a Roma. Non possiamo tirarci indietro, non vi sono timidezze che siano accettabili in questo momento così delicato. 

 

In un processo che diventa infinito le annunciate riforme successive, per migliorare il sistema e velocizzare i tempi non ci tranquillizzano. Quando iniziano a cadere questi baluardi di civiltà in uno stato di diritto inizia il declino.

 

Allora tutto può essere giustificato da considerazioni populistiche, demagogiche, che finiscono per disinformare il cittadino e non consentono allo stesso di scegliere consapevolmente. Al centro, in questo dibattito, non c’è l’avvocato ma il cittadino che non può vivere in eterno il proprio status. In questo senso, non è possibile venir meno ad un impegno di lealtà nei confronti delle garanzie che la Costituzione offre al cittadino nei rapporti con la potestà punitiva dello Stato.  

 

 

 


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