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03/12/24 ore

La “Révolution” di Macron


  • Silvio Pergameno

Il 2016 è l’anno in cui il “fenomeno” è esploso: e Macron si è…messo in proprio. Il 2017 è l’anno in cui è riuscito…. Ma è opportuno fare un passo indietro. Macron non è parigino. E’ nato ad Amiens da una famiglia di medici, nel 1977. Ha però frequentato nella capitale il liceo Henry IV e la famosa E.N.A. (Ecole Nationale d’Administration), due luoghi alti per cui passano tanti politici francesi; ha frequentato “Sciences Po.”; ma la vera svolta “formativa “la ha avuta con Paul Ricoeur, l’eminente pensatore tra i maggiori interpreti del pensiero del novecento, incontrato fortuitamente (cercava qualcuno per archiviare i documenti del suo archivio personale), dal quale imparò “il secolo precedente e a pensare la storia”, come lui stesso scrive appunto in “Révolution”, il libro che commentiamo per capire il personaggio e la sua vicenda.

 

“Paul Ricoeur viveva nei testi, ma con la volontà di chiarire il corso del mondo, di costruire un senso per il quotidiano – dice Macron -; mai cedere alla facilità delle emozioni o di ciò che si dice; mai chiudersi in una teoria che non si confronta con le cose della vita. E’ in questo squilibrio permanente, ma fecondo che il pensiero può costruirsi e che la trasformazione politica può essere fatta…. Questo era Ricoeur. Un’esigenza critica. Un’ossessione del reale e una fiducia nell’altro. Ho avuto questa fortuna. E lo so.” 

 

L’altra fortuna – ma .questa è una mia valutazione - è per lui stata Brigitte, l’insegnante del primo anno di scuola secondaria superiore ad Amiens con la quale nasce un amore da “une complicité intellectuelle qui devint jour après jour proximité sensible”. Poi Macron prosegue il liceo a Parigi, dove sente che gli si aprono gli orizzonti, ma dove “scelsi di vivere e di amare piuttosto che dedicarmi alla competizione fra studenti. Avevo un’ossessione, un’idea fissa: vivere la vita che avevo scelto con colei che amavo”.

 

Arriva il tempo della vita attiva e si apre un periodo inquieto, nel quale la formazione prosegue: passa per ’Ambasciata di Francia in Nigeria, per la prefettura dell’Oise, e, mentre frequenta l’ENA ha modo di conoscere e apprezzare numerose amministrazioni locali, conosce Paul Rocard e gli resta legato per quindici anni fino alla morte di lui e ne assimila la passione per le cose del mondo, i grandi temi internazionali; la causa climatica; lavora con Jacques Attali alla Commissione per la liberazione della crescita francese; frequenta la rivista Esprit (punto di arrivo del più avanzato cattolicesimo) e l’ambiente di Jean- Pierre Chevènement, arriva senza convinzione al Parti Socialiste; sceglie poi il settore privato e  lavora per quattro anni alla Banca d’affari dei Rothschild, dove scopre il mondo economico e industriale.

 

Ma nel 2012 decide di tornare al servizio dello Stato, impegnandosi per la preparazione del programma economico della sinistra riformista su richiesta di Hollande, che, quando diviene Presidente della Repubblica lo vuole all’Eliseo, come Segretario Generale aggiunto e incarichi in materia economica.

 

Resiste due anni, poi lascia, ma Hollande lo vuole di nuovo nel suo staff come Ministro dell’ Economia, dell’industria e del digitale; tenta con qualche successo una politica di ripresa di alcune grandi imprese in crisi. Ma in particolare nel corso del 2015, l’anno di due gravi attentati, si convince via via “della mancanza di una vera volontà di cogliere le nuove opportunità economiche, dell’assenza di una vera politica riformista e di una più grande ambizione europea, con la scelta invece di un dibattito sterile sulla decadenza della nazionalità”. E non riesce a fare il Ministro: errori di analisi, ostacoli, incomprensioni, retropensieri…

 

Così nell’aprile del 2016 lancia il suo nuovo movimento “En marche” e, quando decide, nell’ autunno, di presentarsi alle elezioni, pubblica “Révolution” e inizia un percorso che lo porta in tutta la Francia, contattando forse duecentomila persone, per lo più giovani, in nome della fiducia che riesce a infondere soprattutto alle giovani generazioni..

 

Il rinnovamento non ha senso con l’occhio rivolto al passato, con il ripiegamento della Francia su se stessa, in nome di un’identità che non è quella vera del paese: è questa la chiave del discorso di Macron. La vera identità della Francia è quella che si fonda sui valori che la Francia ha portato nel mondo e ne hanno fatto la vera grandezza, i valori dell’ottantanove che non possono essere abbandonati, e la ripresa deve accettare la sfida della globalizzazione, la quale del resto già sta offrendo opportunità da non trascurare, sol che si pensi che già due milioni di francesi trovano lavoro in imprese esportatrici.

 

Macron ovviamente fa un discorso “nazionale”, esalta le doti e le capacità dei francesi delle quali è necessario avvalersi per un rilancio. E per lui è assurdo tentare di dare all’Europa la colpa dei problemi della Francia, quando proprio per la soluzione di questi problemi l’apporto dell’Europa è indispensabile, perché la Francia da sola non è in grado di affrontali. E per Macron la Francia “è l’Europa”….

 

Io stesso ritengo che questa sia un’affermazione della massima rilevanza e mi ritornano alla mente considerazioni di oltre mezzo secolo fa, quando con Giuliano Rendi eravamo – sotto la guida di Altiero Spinelli - la redazione operativa di “Europa federata”, il quindicinale del Movimento Federalista Europeo. Giuliano, in particolare, conosceva bene la storia tedesca e l’orientamento sempre  verso occidente delle correnti democratiche tedesche. Le conquiste napoleoniche avevano aperto in tutta Europa i primi spazi verso la democrazia, gettato i semi dell’amore per la libertà, l’eguaglianza e la fratellanza, seguite poi dalle rivoluzioni in tutta Europa, quella del 1830 e soprattutto quella del 1848…l’idea nazionale nasce come portatrice di questi valori…

 

Mi scuso per questa digressione, penso non inutile… e torniamo a “Révolution”.  Macron passa in rassegna i più grossi problemi attuali e, sine ira ac studio, fa cautamente osservare ai francesi – di cui conosce bene natura e pensieri - che da sola la Francia non ce la può fare: affrontare da soli la Cina, che è già rapidamente diventata la prima economia del mondo, contrastare il predominio della finanza mondiale e ad assicurare un mercato nel quale sia assicurata una vera concorrenza (e subiamo gli effetti di concorrenze sleali), instaurare un rapporto diverso con la Russia, fare i conti con il riscaldamento globale (la biodiversità non può essere tutelata che lavorando tutti insieme, osserva a questo proposito), fronteggiare la grande migrazione verso l’Europa, farci carico, sempre, da soli – visto che da una parte c’è Putin e dall’altra Trump -  della nostra sicurezza (e in questo ambito la Francia – con il Regno Unito - ha il peso maggiore, essendo il paese più preparato sul piano militare…).

 

Macron ha voluto mobilitare i francesi, suscitandone l’orgoglio, ma con un richiamo ai valori della democrazia francese, che sono il fondamento di tutte le democrazie europee, e ha vinto clamorosamente le elezioni, sconfiggendo, forte di una visione “attuale”, non soltanto la deriva lepenista, ma l’intera quinta Repubblica e un sistema di partiti ormai fuori tempo massimo. Riconosce il merito di De Gaulle, di aver dato alla Francia un sistema politico che la ha portata fuori dalla palude inconcludente della quarta Repubblica, ma ne ha capito i limiti di oggi.

 

Molte sono le riforme di carattere meramente interno di cui parla in “Révolution”, ma queste riguardano soltanto i francesi, anche se alcune sue considerazioni sono significative in generale: soprattutto quella che oggi anche la tutela del lavoro va garantita non in chiave protezionistica, ma all’interno della flessibilità e della mobilità: “l’impresa non sarà più il luogo del lavoro per tutta la vita…”. Forse pensa agli Stati Uniti (mi si perdoni la cattiveria…), che però hanno trecentotrenta milioni di abitanti… E sul punto non propone ricette, ma affida alla società e alle parti sociali di pensare alla risposte (altro che contrattazione nazionale del rapporto di lavoro…). Conta su coloro che fanno, ma non “alla Grillo”: Macron si è rivolto ai francesi sulla base di un percorso profondamente e storicamente meditato.

 

Avviamoci verso la fine. La strada dell’integrazione europea si era di fatto quasi interrotta negli ultimi dieci anni e le nuove analisi e proposte di Macron sono il frutto di una riflessione che fornisce una nuova impostazione al progetto europeo, come era nato nel pensiero di Altiero Spinelli soprattutto, che è quello che maggiormente ci interessa, perché era un progetto di sinistra”.

 

Nel “Manifesto di Ventotene” (che risaliva al 1941, quando gli autori erano confinati nell’isoletta del Tirreno) – voglio ricordare - Spinelli osservava che la ricostruzione del dopoguerra doveva avvenire al livello europeo, perché la riproduzione delle vecchie istituzioni ,e prima di tutto degli stati prebellici responsabili dei terribili conflitti, avrebbe riprodotto gli stessi problemi, gli stessi pericoli, gli stessi rischi per la democrazia. Così è stato: le attuali democrazie europee non servono ad affrontare i problemi di oggi.

 

E la ripartenza che Macron propone si rivela, a mio avviso sulla strada giusta, perché in fondo non è a ben vedere una ri-partenza, ma una partenza del tutto nuova, che muove proprio dalla crisi delle democrazie del continente (Brexit in primo luogo, Jeremy Corbin in testa, ci vien subito fatto di pensare).

 

Ecco: tutto questo spiega perchè il nuovo Presidente appena eletto apre la manifestazione al Louvre facendo suonare l’Inno europeo ancor prima della Marsigliese: i simboli hanno il loro significato in politica. E giunti a questo punto, senza pretese di completezza, non possiamo non osservare la distanza che separa la discussione politica nel nostro paese da quella nella vicina Repubblica…en marche.

 

Il rischio dell’annuncio

 

Ma c’è un’osservazione conclusiva cui non possiamo rinunciare: il rischio dell’annuncio. C’era da temere che, dopo la vittoria alle presidenziali di maggio, il neopresidente trovasse ostacoli alle politiche di giugno, consultazione nella quale si poteva pensare che i partiti contassero di più di quanto è poi accaduto. Gli ostacoli invece cominciano ad emergere quando si entra nella gestione del quotidiano, dove non contano gli alti livelli dei partiti, della cultura, dell’economia, ma trovano spazio e potere di fatto gli sterminati apparati, a cominciare da quelli di Bruxelles e dintorni. La vicenda delle dimissioni in questi giorni della Ministra Sylvie Goulard, figura politica di sicura fede europea tra l’altro,  per una questione, molto dubbia, di utilizzazione di fondi europei, lascia già capire quali saranno le strade per le quali l’impantanamento potrà avviarsi.

 

E la distanza siderale tra questa vicenda e la nuova proposta politica rende gli ostacoli che si profilano ancora più temibili. Andare avanti non sarà facile e richiederà tempo, tenacia e coraggio. Macron qua e là ricorda i tempi. Lunghi, dieci anni, quindici anni, ma la fiducia non gli manca. E ha cura di notare che non cerca di scontrarsi con nessuno, ed è in cerca solo consensi. Il rischio di perdersi in polemiche lo ha ben presente.

 

 

 

 


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