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02/12/24 ore

Il canto di Nessuno. Ulisse nel labirinto dell'Occidente, il libro di Piefranco Bruni



di Salvatore Balasco

 

Ha cercato l'immortalità e si è trovato a bruciare nel rimorso. Ha fatto il vino per ubriacare Polifemo, ha ricevuto un otre di vino da Calipso per affrontare la tempesta del ritorno a casa. La sua storia recita la partenza, non la fuga. Ha visto negli occhi le Sirene, nel mare blu di Positano, e ha pianto a dirotto per la madre e i commilitoni consegnati all'Ade.

 

Sa che il suo destino è prendere sempre il viaggio. Se Enea ritrovasse Didone, non la lascerebbe bruciare tra le fiamme. Se Ulisse potesse incrociare di nuovo Calipso, forse il destino del ritorno cambierebbe. Il tempo e la morte sono un cerchio, stanno insieme alla risata del cieco indovino e alle mani dei soldati che hanno la riga dei porti mancati. Ulisse sa che Itaca è appartenenza, e radici. È Nostos.

 

Piefranco Bruni nelle pagine più profonde e mature del suo percorso letterario, ci consegna la voce di Nessuno, il suo dolore e la voglia di amare. “Ulisse – scrive l'autore – ama ritornare perché crede nella vendetta. Le vele sono guidate dal vento. Il viaggio di Ulisse non è soltanto mito ma un'ombra nel segnato della contemporaneità. Ci ha insegnato a leggere il tempo educandoci alla pazienza. La sua metafora vive nella storia dei popoli che è dentro la coscienza di una civiltà”.

 

Sulle sponde di ogni avventura umana, l'astuto greco declina l'arte del vivere, che è sempre viaggiare, perché l'ulissismo è, prima di tutto, una categoria dell'anima: “Non è un ragionamento a tavolino. È una poetica dell'io nel vento delle disperazioni. Si parte dall'Ulisse omerico, alla ricerca di un io che è diverso per ciascuno. E bisogna afferrarlo”.

 

Itaca diventa la sua sicurezza, ma solo alla fine della traversata e dopo essere stato legato all'albero della nave per ascoltare i canti della rovina. Vive l'abbraccio di Telemaco, il fuoco dei suoi vecchi, ritrova le radici oltre il sale di mare che si rifrange nelle narici, cifra di una lotta sempre da ripetere, e mai scontata.

 

Scrive Bruni: “Io voglio sperare che Ulisse si sia fermato su quel talamo ben radicato tra le radici del suo ulivo e avvia ridato giovinezza a quella donna che lo ha atteso nel rischio delle violenze nell'isola del ritorno”. Nel vento di quell'isola le pietre raccontano storie perché prima quelle storie Ulisse le ha incarnate tra terra e mare, tragedia che non si può addomesticare. La zattera di Ulisse è il pensiero, l'identità mediterranea che va oltre il naufragio e la mano del destino. La memoria mantiene echi dopo i labirinti del Novecento e il tempo liquido che scorre nei nostri giorni di attese.

 

Trionfa il sentimento dell'appartenenza che è ritorno e partenza insieme, perché per ognuno c'è un porto e una memoria da custodire e seppellire, portando lo sguardo al nuovo, tra i misfatti degli dèi e gli scherzi di demoni gelosi.

 

Dal mito alla letteratura, il canto di Nessuno è la voce di uno specchio, e di un viaggio senza fine. Ulisse “torna vivo ad un amore. All'amore. Questo amore implacabile che è nel gioco immenso di tutta la metafora di una esistenza . E così il dolore non è distruzione. Non esiste più perché al dolore si sostituisce la morte-immortalità quando i capelli della dea avvolgono il corpo del viandante marinaio uomo del nostos”.

 

Ulisse continua ad essere una domanda scomoda. Accende un fuoco nella sua e nostra isola di senso, accarezza il domani portando nella mente le nenie di Calipso, donate dall'Olimpo. Il mito dialoga ancora con le memoria. La vendetta non ci salva, ma il coraggio della verità sì. 

 

Piefranco Bruni

Il canto di Nessuno. Ulisse nel labirinto dell'Occidente

Edizioni Saletta dell'Uva

(pp. 145, euro 10, www.salettadelluva.it)

 

 


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