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02/12/24 ore

La “Questione Italia” nelle parole di Craxi ad Hammamet


  • Silvio Pergameno

È in questi giorni nelle librerie una selezione delle note e degli appunti che Bettino Craxi stendeva durante l’esilio in Tunisia, (“Io parlo e continuerò a parlare” – edizioni Mondadori - €18,00), interventi sulle vicende politiche che andavano svolgendosi in quell’Italia nella quale non avrebbe mai rimesso più piede, ma non meno sui protagonisti della storia del nostro paese in quegli anni e sul senso del percorso che allora attraversavamo e a tutt’oggi appare tutt’altro che concluso.

 

Ne escono a testa alta la figura dell’uomo e il livello dello statista, pur inquadrato in un tessuto ideale e politico che rimaneva quello che costituiva (e costituisce) la sostanza della dimensione nazionale italiana, quella sostanza che la battaglia del Risorgimento è riuscita soltanto ad intaccare ma non a trasformare e che nella quale vanno ricercate, e trovate, le ragioni per le quali le battaglie, la battaglia liberale dei radicali resta viva e ineliminabile: i costanti e generalizzati sforzi di marginalizzazione non la riducono al silenzio.

 

Durante gli anni dell’esilio Bettino “è” in Italia, comprende i fatti che il quotidiano offre alla riflessione, compie un’analisi impietosa delle condizioni economiche nelle quali l’Italia versa e i rischi ai quali è esposta, la compie nei termini nei quali oggi dopo l’esplosione della crisi essa viene descritta, con l’economia che non cresce e la disoccupazione e il debito pubblico che imperversano, con la politica che non evolve e non registra affatto la nascita di una seconda repubblica, ma soltanto il progressivo affondamento della prima, con la comparsa di un nuovo leader perseguitato sì dalla giustizia ma circoscritto nelle sue possibilità e speranze da limiti precisi.

 

Bettino individua nel problema della governabilità il nucleo centrale della crisi che accompagna il nostro paese, avverte la necessità soprattutto di una riforma costituzionale, indica nel rafforzamento dell’esecutivo la strada da percorrere nella direzione dell’elezione diretta del capo dello stato o del capo del governo, è deciso nel formulare le sue rimostranze nei confronti del potere giudiziario, perché, nell’ambito dei risvolti penali della crisi del partitismo, non ha colpito nello stesso modo in tutte le direzioni e rivendica il primato della politica, una rivendicazione nella quale si legge la consapevolezza della dimensione reale del problema di fondo.

 

Anche se, per chi legge le “note e appunti”, l’interrogativo rimane aperto sulle capacità del nostro paese di venirne in capo nel rilievo dei temi della divisione dei poteri che tuttora sono aperti al livello costituzionale, comprese le indispensabili garanzie per il potere politico, al livello dei diritti civili – nonostante i passi avanti compiuti e alcuni segni che si affacciano (strumentalmente?) anche sul fronte moderato – al livello dell’economia dove non è aperta una vera discussione sul ruolo e la direzione dell’intervento dello Stato: Stato finanziere? Stato produttore di beni e servizi? o non Stato che garantisce l’effettiva concorrenza? e poi quale Stato? quello nazionale?... E non meno il rapporto tra Stato e Chiesa.... Questo rapporto con il mondo cattolico che ebbe nella DC una dimensione via via sempre più marcatamente temporalistica, che le forze di cultura marxistica o riformistica non riuscirono a comprendere e che potrà assumere una dimensione diversa solo se le novità di papa Francesco riusciranno a prendere in Italia una direzione neoliberale...

 

“Io parlo e continuerò a parlare” è un libro da leggere - al di là della testimonianza di una commossa e sofferta dimensione umana - come occasione per non dimenticare i termini reali della “Questione Italia” ed evitare che il rischio di vuoto politico, che la crisi dei partiti contiene, resti nascosto dietro le cortine fumogene di facili e interessati qualunquismi.

 

 


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