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30/11/24 ore

L’opposizione siriana tra Arabia Saudita e Qatar



di Silvia Colombo

(da AffarInternazionali)

 

Un recente rapporto dell’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha fissato a 93 mila il numero delle vittime del conflitto siriano. Le proporzioni della catastrofe che si è abbattuta sul paese mediorientale nel corso degli ultimi 27 mesi sono mostrate chiaramente anche dal numero dei rifugiati, più di un milione e 400 mila secondo l’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite, e da quello delle persone disperse all’interno del territorio siriano che ormai ha superato i cinque milioni di unità, ovvero più di un quarto della popolazione totale.

 

Mentre Stati Uniti ed Europa continuano a non decidere sulle modalità di un possibile intervento nel conflitto, i paesi arabi del Golfo Persico, in particolare Arabia Saudita e Qatar, stanno conducendo una guerra indiretta contro Al-Asad e i suoi alleati, in particolare l’Iran e Hizbollah, servendosi dell’opposizione siriana.

 

Il secondo incontro del dialogo strategico tra Stati Uniti e Golfo, organizzato a Roma dall’Atlantic Council di Washington in collaborazione con lo Iai, rappresenta un’importante occasione per discutere delle prospettive americana, europea e dei paesi del Golfo riguardo al futuro della Siria.

 

Arabia Saudita e Qatar rappresentano i più importanti finanziatori dell’opposizione siriana al regime di Bashar Al-Asad attraverso la fornitura di fondi privati, armi ed equipaggiamenti che raggiungono il territorio siriano attraverso la Giordania e la Turchia. La maggior parte delle spedizioni hanno avuto luogo a partire dal novembre 2012, all’indomani delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti e del fallimento dei precedenti tentativi di soluzione negoziale.

 

I paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg) avevano fin dall’inizio della crisi avanzato promesse di assistenza economica e finanziaria a favore del regime siriano in cambio di riforme che andassero incontro alle domande dei manifestanti. Alcuni membri di alto livello delle famiglie regnanti del Golfo si erano anche recati a Damasco facendosi latori di questo messaggio per tutto il 2011.

 

Poco dopo i sanguinosi avvenimenti di Dara'a del marzo 2011 che hanno scatenato la rivolta siriana, re Abdullah dell'Arabia Saudita aveva parlato tre volte di persona con il presidente Al-Assad, incoraggiandolo a intraprendere vere riforme per uscire dalla crisi.

 

Di fronte allo scarso successo di questi tentativi di convincimento e di mediazione, i paesi del Golfo hanno rivolto la propria attenzione a una soluzione regionale sul modello della road map, di indubbio successo, appena messa in atto in Yemen per favorire l’uscita di scena del presidente Saleh nel 2011.

 

Al fine di esercitare maggiore pressione sul presidente siriano, il piano è divenuto ben presto un’iniziativa della Lega araba, guadagnando così un più ampio sostegno e una maggiore legittimità. In seguito al fallimento di tali sforzi, esemplificato dall’insuccesso della missione degli osservatori incaricati di monitorare il rispetto del cessate il fuoco, il passaggio successivo è stato quello di portare l’iniziativa diplomatica dei paesi del Golfo a livello del Consiglio di sicurezza (Cds) delle Nazioni Unite, nel tentativo di coinvolgere la comunità internazionale negli sforzi per porre fine al conflitto.

 

Di fronte alla situazione di stallo all'interno del Cds protrattasi per molti mesi e causata dai veti congiunti russo e cinese nei confronti di tre proposte di risoluzione e un di ampio numero di dichiarazioni, la decisione da parte degli stati del Golfo di armare l'opposizione siriana ha rappresentato, a detta di Riyadh e Doha, il punto di arrivo obbligato e l’unica opzione percorribile...

 

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