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29/11/24 ore

M5S, la politica virtuale di Casaleggio


  • Ermes Antonucci

Le ragioni che hanno spinto il guru del M5S Gianroberto Casaleggio ad attaccare nuovamente, in piena campagna elettorale, il sindaco grillino di Parma Federico Pizzarotti, sembrano andare al di là del singolo caso specifico ed essere legate più ad un’insofferenza di fondo, ben radicata nella dirigenza pentastellata, verso ogni forma di presa di coscienza della differenza tra la costante propaganda populista fatta propria dal movimento e la concreta attività politica che i suoi eletti, soprattutto a livello locale, sono chiamati a svolgere nella realtà di tutti i giorni.

 

Dopo aver ribadito la sua visione del rapporto tra eletti ed elettori, difficilmente compatibile con quel divieto di mandato imperativo cui la nostra Costituzione fa riferimento (“Chi è eletto dentro il movimento deve rispondere all’elettore, ora metteremo sanzioni anche economiche”), Casaleggio ha lanciato al sindaco ducale un messaggio molto chiaro: “Se prendo l’impegno di chiudere un inceneritore, o lo chiudo o vado a casa”.

 

Il riferimento del leader “visionario” del M5S è al termovalorizzatore di Ugozzolo, che, dopo una martellante campagna elettorale da parte di Pizzarotti e Grillo per la sua chiusura e dopo una lunghissima trafila di stop, ricorsi, sentenze e contro-sentenze, è stato definitivamente avviato lo scorso agosto, gettando in imbarazzo il sindaco grillino, fino all’ultimo convinto che “l’inceneritore non si farà mai”.

 

La figuraccia a 5 stelle non è andata giù a Beppe Grillo, ma a complicare le cose ci si è messo anche lo scomodo attivismo di Pizzarotti all’interno della varie dinamiche locali del movimento e la sua propensione a solidarizzare con i tanti esponenti grillini espulsi in terra emiliano-romagnola negli ultimi mesi (da Tavolazzi a Favia, passando per Salsi, Pirini, Poppi).

 

L’ultimo episodio risale allo scorso 15 marzo, quando Pizzarotti ha voluto riunire i candidati M5S per le prossime amministrative in un incontro preparatorio alle porte di Parma, ricevendo l’immediata scomunica di Grillo, ostile a qualunque forma di decentramento della gestione della propria creatura pentastellata.

 

Federico Pizzarotti, che pure nei mesi precedenti alla sua elezione a sindaco aveva cavalcato in maniera propagandistica la faccenda dell’inceneritore (salvo poi ricredersene amaramente), ha risposto alle parole roventi di Casaleggio ricordandogli che “amministrare è affrontare problemi reali e, a volte, vuol dire anche non vincere alcune battaglie”.

 

Il problema principale, anzi, il terrore, del duo Grillo-Casaleggio pare infatti essere proprio la necessità di calarsi nella politica reale, quella fatta non di slogan ma di impegno, consapevolezza, realismo. I due fondatori del Movimento dimostrano di voler rifiutare tutto ciò, e di voler invece continuare a rispondere ad una mera logica elettoralistica e ribellistica fine a se stessa.

 

La decisione di Casaleggio di attaccare nel pieno della campagna elettorale uno dei simboli del M5S – Pizzarotti è stato il primo candidato grillino ad essere eletto come sindaco in un capoluogo di provincia – costituisce solo l’ultima manifestazione di tale visione populistica della politica.

 

L’obiettivo vero di Grillo pare essere quello di rilanciare il movimento in occasione delle elezioni che più sembrano competergli, cioè quelle europee, lasciando in secondo piano quelle amministrative, certamente portatrici di popolarità e poltrone, ma, in virtù del loro stretto legame con l’amministrazione effettiva di una realtà politica locale, anche di “rogne”.

 

Già circa un anno e mezzo fa, non a caso, sottolineavamo lo strano comportamento tenuto dalla dirigenza grillina in Emilia Romagna, culla del successo pentastellato ma, proprio per questo motivo, vista quasi con fastidio da Grillo e Casaleggio, sempre pronti ad intervenire per soffocare iniziative, entusiasmi e protagonismi.

 

La strategia rissosa e inconcludente sulla quale i grillini hanno improntato la propria azione una volta sbarcati in Parlamento rappresenta infatti la sintesi perfetta dei dettami dei leader del movimento: tanta propaganda ma nessun risultato concreto.

 

Un modello malato che ora si vorrebbe esportare in Europa, nella speranza di ottenere risultati di scarso rilievo alle amministrative, evitando così ogni genere di responsabilità di governo giudicabile direttamente dai cittadini.


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