Informativa

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.
Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

01/12/24 ore

Diaz, il sangue non è lavato


  • Andrea Spinelli Barrile

Quel sangue della Diaz non è stato lavato; i diritti, quelli sono stati spazzati via, primo tra tutti il diritto alla verità: la sentenza sulla “macelleria messicana” infatti non rende giustizia a nessuno e affoga lo stato di diritto nello stesso sangue versato quasi 12 anni fa in una scuola di Genova, “la più grande sospensione di diritti umani in una democrazia occidentale dal secondo dopoguerra”.

 

Non rendono giustizia le prescrizioni agli agenti del VII Nucleo Speciale Mobile (secondo le indicazioni della Corte europea dei Diritti Umani i reati di tortura e maltrattamento non dovrebbero essere soggetti a prescrizione, condono o amnistia), quelli dell'”inusitata violenza”, non rendono giustizia le condanne ai capri espiatori (seppur colpevoli) della Polizia di Stato.

 

Non rendono giustizia le parole di Antonio Manganelli, che parlando del “momento delle scuse” parla anche di “qualche comportamento errato”, parole che dopo la sentenza Diaz sono irrispettose della sentenza stessa, che di comportamenti errati ha farcito dieci anni di udienze.

 

Non rende giustizia la posizione di Gianni De Gennaro che in una nota diffusa addirittura da Palazzo Chigi (oggi è sottosegretario alla Presidenza del Consiglio) rispetta la sentenza ma si dichiara “solidale coi funzionari condannati” che hanno contribuito “ai successi dello Stato democratico” che a Genova venne insultato, insudiciato da larghe macchie di sangue. Una “cerimonia delle scuse” non lava il sangue versato alla Diaz, arrivato dopo la morte di Carlo Giuliani e subito prima del lager di Bolzaneto.

 

Non rendono giustizia nemmeno i silenzi assordanti dell'allora Ministro dell'Interno Claudio Scajola né sopratutto l'odierna omertà dell'allora vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini (oggi terza carica dello Stato, che durante i fatti era negli uffici della sala operativa della Questura di Genova) interessato più alla gestione dell'ordine pubblico in quei giorni che ai fatti del meeting.

 

La giustizia è stata negata perchè i processi non rispondono alla domanda fondamentale: chi ha ordinato quel massacro? La sentenza del 5 luglio è entrata nella storia italiana, facendo ora compagnia ai fatti di Piazza Fontana, della Stazione di Bologna, del treno Italicus, di Ustica, etc. E questo, è evidente, non è una bella cosa.


Aggiungi commento