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02/12/24 ore

Riflessioni sulla Germania


  • Silvio Pergameno

Il comportamento politico della Germania nel corso di questa interminabile crisi suscita preoccupazioni negli altri paesi europei, soprattutto in relazione al fatto che  questo paese ha un peso economico più forte di quello di qualsiasi altro stato europeo, ma anche per la circostanza che molte delle speranze per il futuro del continente restano legate al suo stato di salute.

 

Uno stato di salute che comincia a non apparire oggi così certo come poteva esserlo ancora mesi orsono, in quanto proprio dalla Banca Centrale Europea cominciano ad arrivare le prime preoccupazioni sulla crescita tedesca, prevista per il 2013 in un non entusiasmante +0.8%: il Governatore della BCE ha infatti fatto presente che gli effetti della crisi cominciano a farsi sentire anche sulla Germania.

 

Certamente nel dibattito politico interno pesa l’approssimarsi delle elezioni che avranno luogo nell’autunno del prossimo anno e le tornate elettorali provocano inevitabilmente la corsa all’inseguimento dei voti sui temi che più facilmente fanno presa su larghe masse di elettori, come quello di cercare le colpe sempre negli altri, rinserrando le virtù entro le mura domestiche. Che è poi un atteggiamento molto tipico delle politiche nazionalistiche, sia pur detto, non tanto per inciso.

 

Non si tratta di aprire sterili polemiche, tanto per il gusto di polemizzare, ma di proprio di denunciare gli errori e i rischi cui espongono le persistenze o le reviviscenze delle chiusure proprie di atteggiamenti che tante tragedie hanno causato all’Europa, passata dal rappresentare l’avanguardia della civiltà mondiale a una pletora di medi e piccoli stati, che stentano a tirare avanti, rinunciando a ben altre prospettive, ad esempio,  di investimenti nei paesi della penisola balcanica e della parte centrorientale del continente.E di attribuire il peso che ha meritato, di contro, la fecondità delle politiche tendenti a sanare le ferite del passato, senza revanchismi, come è avvenuto nel secondo dopoguerra, a differenza del primo.

 

Questo non significa, ovviamente, che i paesi spenderecci (o, se si vuole, goderecci) non debbano farsi carico di mettere a posto i propri conti; significa però che la Germania, proprio per la sua stazza, non può non assumere un ruolo determinante nel rilancio della crescita economica europea, ponendo attenzione anche alle possibili conseguenze sul terreno politico e delle stesse sorti della democrazia nei paesi più deboli e dove la democrazia ha, nel recente passato, subito tracolli di portata storica.

 

È ben noto quanto la Germania tuttora soffra nell’intimo del peso delle esperienze della prima metà del secolo passato, ma è una convinzione radicata proprio nella riflessione su quel passato che la sua stessa democrazia, oggi consacrata nella Legge fondamentale, nell’ordinamento regionale e nel complesso della sua legislazione, trova il suo fondamento più sicuro proprio nell’unione più intensa con il resto dell’Europa, e nel conseguente superamento, o meglio seppellimento, delle prospettive nazionalistiche e delle rissose tematiche della politica di potenza che ne hanno accompagnato la tragica fioritura e che nella vecchia tradizione culturale tedesca ha trovato forti filoni di sostenitori a partire dalla seconda metà dell’ottocento.

 

Oggi la Germania parla parecchio di europeismo, anche per bocca dei suoi massimi vertici politici, ma poi in concreto non sembra favorirne gran che l’avanzamento, ad esempio proprio rispetto alle funzioni della Banca Centrale Europea e quindi per favorire il superamento della crisi in atto. 


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