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01/12/24 ore

Chi ha sabotato la stato di diritto? Risposta a Galli della Loggia


  • Luigi O. Rintallo

A leggere l’ultimo editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul «Corriere della Sera», viene da chiedersi se l’immagine del suicidio della politica che lo chiude  sia quella più calzante o se, piuttosto, non si debba parlare di un omicidio. Lo stesso evocato nel titolo del libro intervista del direttore di «QR» Giuseppe Rippa (Hanno ammazzato la politica) uscito 25 anni fa.

 

Oggi l’editorialista denuncia come la politica abbia rinunciato al proprio potere, sancendo di fatto la sua inutilità e debolezza di fronte ai poteri organizzati delle corporazioni (dai magistrati ai tassisti) che pretendono di agire indisturbati. Ma a questo non ha contribuito anche un’informazione che non si è limitata a descrivere la realtà, operando di fatto al servizio di quegli altri poteri? E il «Corriere», nel quale Galli della Loggia va a coprire con pochi altri commentatori il versante cosiddetto liberale, non ha forse contribuito ad alimentare un rogo devastante che ha lasciato soltanto le ceneri fumanti del qualunquismo e del risentimento ribellista?

 

Non si ha memoria di un sostegno concreto alle iniziative volte a ripristinare i termini di uno Stato di diritto, avanzate ad esempio dai radicali. Ora si lamenta la strage di legalità, ma in tutte le occasioni nelle quali si trattava di porre un argine si è brillati per l’assenza; per non dire che il più delle volte si è preferito assecondare quelle che non erano altro se non battaglie di potere. E così quando Pannella intraprendeva la sua azione nonviolenta perché la Corte costituzionale era priva di alcuni dei suoi membri, non ci si faceva scrupoli a ridurla  ad un evento folcloristico. E la stessa Corte costituzionale che faceva fuori i referendum radicali con interventi assolutamente contro le leggi, non era un ulteriore indebolimento della partecipazione al processo di cambiamento in chiave democratica e istituzionale?

 

Quella di Galli della Loggia appare quindi una cahier de doleances certamente fondata su elementi di fatto, perché nessuno può negare che il patto tacito sottoscritto tra le corporazioni e la politica si fondi proprio sull’impunità degli abusi e sul sabotaggio sistematico del rispetto delle leggi. Tuttavia, questo è potuto avvenire perché lo stravolgimento dello Stato di diritto si è compiuto a opera di chi era preposto a difenderlo.

 

Da questo punto di vista, sembra anche fuorviante il messaggio subliminale che traspare nell’articolo del «Corriere», laddove si invoca il ripristino di uno Stato e una politica autorevoli, capaci di esercitare il potere come si deve. Stato e politica non sono entità astratte, ma incarnate da funzionari e burocrati: gli stessi che hanno determinato questo stato di cose, potranno mai essere i protagonisti di una soluzione del problema? 

 

Come pure non è nemmeno esatto ritenere che la politica attuale abbia rinunciato al potere di legiferare: di leggi se ne sono prodotte anche troppe. Il problema è che la iper-produzione legislativa non risponde ai bisogni reali della società italiana, ma piuttosto a determinare le condizioni caotiche che consentono ai poteri organizzati di agire appunto indisturbati. 

 

Soltanto la puntuale e testarda difesa delle ragioni dei diritti delle persone, da anteporre a qualunque visione da Stato etico o – nella versione moderna – politicamente corretto, può rappresentare uno spiraglio promettente per il futuro.

 

 


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