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02/12/24 ore

Dopo le amministrative di giugno


  • Silvio Pergameno

Dalle amministrative di giugno è ormai trascorso quasi un mese ed è quindi possibile tentare alcune osservazioni che vadano al di là delle prime impressioni del dopo voto. Premesso che sulla destra, al di là delle note questioni di rivalità nell’ambito del settore, non sembra che i risultati delle amministrative abbiano rivelato novità di rilievo, un panorama di déjà vu salvo la rivincita di Mastella a Benevento, le prime considerazioni possono essere dedicate ai vincitori, quei “5 stelle”, sulla cui fisionomia è peraltro difficile esprimere un giudizio complessivo, e quindi indicativo rispetto alle prossime consultazioni politiche, tranne che per il referendum costituzionale, sul quale il Movimento è schierato per il “no” e per la posizione rispetto all’”Italicum”che ormai “non si tocca”(più)…

 

Nel merito i pentastellati sembrano avere raccolto le proteste più varie e contraddittorie; tanto per fare un esempio, alla propensione “no TAV “ di un estremismo ambientalista a Torino o la presenza nei municipi romani di elementi provenienti dai vecchi schieramenti alla sinistra del PD, fa riscontro in genere una tendenza a fornire di sé un’immagine sicuramente ben accetta a un elettorato moderato, tutt’altro che “grillina”, immagine ben ravvisabile ad esempio nel Vicepresidente della Camera Di Maio o in Virginia Raggi, sindaco di Roma. Complessivamente una situazione che potrà trovare sviluppi e composizioni diverse  nel quadro delle autonomie dei singoli comuni, ma che non sembra fornire la possibilità di un approccio valido per un’elezione politica nazionale… salvo precisazioni, ovviamente.

 

E questo in un tempo politico che vede esplodere in Europa tendenze populistiche svariate, in risposta ai rilevanti e ben noti problemi  che occorrerebbe affrontare con ben altro piglio (la perdurante crisi economica, le grandi migrazioni in atto, le tendenze isolazionistiche negli Stati Uniti, la ripresa di una politica di potenza da parte della Russia di Putin, la sfida alla civiltà occidentale lanciata dall’estremismo islamico) problemi tutti rispetto ai quali il minimalismo5 Stelle” sembra accontentarsi di meri scatti reattivi.

 

Due punti debbono essere sottolineati: il primo sta nel fatto che un Movimento “5 Stelle” che cura una rispettabilità piccolo borghese da un lato mette in crisi una destra sempre più incerta (Forza Italia con un Berlusconi dimezzato e non certo per ragioni di salute, Lega - che perde la mitica Varese – Fratelli d’Italia, che a Roma non arriva al ballottaggio) e dall’altro segna un colpo alla speranza di un facile recupero a destra, alimentata dall’esito delle europee del 2014; il secondo sta per l’appunto nella recessione registrata dal partito democratico. Il PD è l’unico grande partito di centro sinistra nel quale siano presenti forze politiche con un lungo passato nella storia del nostro paese, un partito quindi fornito di una classe politica con una storia e un’esperienza alle spalle.

 

All’interno di questo partito però non sembra si stia svolgendo un dibattito all’altezza della responsabilità della quale esso è oggi investito; l’attuale PD è il risultato di  una lunga transizione e in particolare esso è impegnato su un fronte, quello della governabilità, che per la sinistra – quella marxista e quella anarchica, è sempre stato molto ostico, con la differenza che l’organo della governabilità (governo e pubblica amministrazione) per gli anarchici è un nemico da distruggere, mentre per i marxisti (in particolare se anche leninisti) è l’obbiettivo di una conquista.

 

La governabilità è certo un tema di carattere generale, ma in genere era la destra, diciamo l’elettorato oltre che la classe politica borghese, a essere sensibile in proposito, fino a conseguenze estreme (basti pensare alle origini del fascismo), anche se è vero che la socialdemocrazia tedesca se ne fece carico a suo tempo e la risposta di Ebert alle spinte rivoluzionarie cosiddette spartachiste fu (forse fin troppo) determinata…ma erano tempi duri, Fu un passaggio che marcò il ruolo dell’SPD per un secolo e che solo oggi entra in crisi. Nella sinistra italiana il problema fu posto solo negli anni ottanta del secolo scorso da Bettino Craxi, con gli esiti che sappiamo ed ora è ripreso da Renzi.

 

Ad avviso di chi scrive questo è un merito di Renzi, perché la governabilità è problema centrale nella democrazia. In particolare poi, in uno stato sociale - dai compiti molto estesi - gli organi e le amministrazioni pubbliche dovrebbero funzionare alla perfezione, altrimenti non soltanto i “servizi” e le “provvidenze” restano sulla carta, ma si crea il regno dei disservizi e delle disfunzioni, brodo di cultura delle forme di corruzione sempre più estese, come purtroppo sta accadendo in Italia, mentre poi una reazione alla corruzione ancorata soltanto all’azione di giudici e pm finisce con il conferire di fatto al potere giudiziario una configurazione politica abnorme e da sola non dà luogo a un miglioramento nella governabilità.

 

Facciamo attenzione, ma dietro tragedie come quella di Andria dell’altro giorno è vero: ci sono gli errori umani, ma c’è il groviglio delle leggine e dei regolamenti, c’è la farragine delle competenze, ci sono i fondi stanziati e non spesi…c’è una governabilità ridotta ai minimi termini. L’azione giudiziaria porta alla punizione dei colpevoli, ma non rappresenta la risposta politico-istituzionale all’ingovernabilità e alla corruzione.

 

Meraviglia quindi che di fronte alla periclitante situazione delle pubbliche amministrazioni e della governabilità in genere nel nostro paese, l’on.le Bersani su limiti a rivendicare genericamente la necessità di attenzione al sociale e al territorio oppure sposti il discorso su un altro terreno (intervista al Corriere della Sera del 21.6), come quello delle difficoltà incontrate con la base durante la campagna elettorale. Certamente. Ma anche Renzi dal canto suo sembra confidare in una vittoria del “sì” al referendum costituzionale sulla base di successi prevedibilmente oggi non ripetibili o anche per l’aperto sostegno di Giorgio Napolitano…    

 

Dopo le amministrative del mese scorso, il premier sembra anche  disposto a rivedere l’Italicum - salvo sempre quanto dirà la Corte costituzionale, di cui si attende una pronunzia, un atteggiamento un po’ nuovo che può fruttargli qualche attenuazione delle tensioni (interne ed esterne…  magari al prezzo della rinunzia al premio di maggioranza da attribuire alla lista e non alla coalizione, che è un punto a favore dell’Italicum, nella lotta alla polverizzazione e nella necessità della ricomposizione del quadro politico).

 

Ma con tutta evidenza il referendum di ottobre, o giù di lì, è con tutta evidenza un passaggio storico per la democrazia italiana, è cioè una questione che andrebbe affrontata con un chiaro e aperto dibattito a livello nazionale, che, come abbiamo sempre sottolineato sin dai tempi della “Bolognina” il maggior partito della sinistra ha sempre evitato. Non ci si può fermare al terreno delle piccole dispute, non di rado da azzeccagarbugli e alle fantasie costituzionali, alle ripicche interne e agli interessi di bottega elettorale, perché poi alla fine di questa strada Partito Democratico appare diviso tra “sì” e “no” in base a pregiudiziali, che si configurano come epifenomeni di un contrasto irrisolto che si trascina ormai da decenni.

 

La fondazione del PD risale all’ottobre del 2007 e seguiva alla precedente esperienza dell’Ulivo, variamente sviluppatasi dal 1996 in poi, ma il partito sembra tuttora concentrato nella contrapposizione tra la componente postcomunista e quella di origine cattolico popolare facente capo a Matteo Renzi, in particolare sul tema della riforma costituzionale sulla quale il Presidente del consiglio è particolarmente impugnato  (e su cui oggi registra proprio la convinta adesione della CISL e dell’UIL) e che riscontra invece una netta opposizione della minoranza, sulla scia di una ripulsa pregiudiziale sul tema della governabilità.

 

A Renzi si rimproverano molte cose, ma, ad avviso di chi scrive, la vera carenza che gli può essere imputata è quella di non aver svolto un ruolo come segretario del partito e di non avere sollecitato l’attenzione dei vicesegretari sul fatto che il mancato chiarimento interno sta facendo del partito un ircocervo, corroso da liti che non di rado fanno la figura degli strilli nel vicolo. Le critiche si appuntano specialmente sul fatto che la carica pubblica di Presidente del consiglio sia cumulata da Renzi con quella privata di Segretario del partito. Ma al riguardo si può osservare che, nel particolare contesto della situazione attuale e per il genere di problemi che popolano la presente scena politica, il cumulo dei due incarichi potrebbe apparire viceversa quasi un fatto positivo.

 

Emerge infine sporadicamente la proposta di un congresso: in sé non è certamente un’idea sbagliata, ma potrebbe rivelarsi un errore se un aperto confronto non fosse preceduto da un ampio dibattito preparatorio, aperto ai più ampi contributi, interni ed esterni, organizzati da un comitato ad hoc e destinati ad avere un ruolo anche all’interno dei lavori. Sul PD grava infatti ormai la responsabilità dell’intera sinistra, stante il processo di decantazione venuto in essere negli ultimi anni e grava il peso dl compimento di un passo avanti che il paese attende ormai da troppo tempo.

 

 


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