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02/12/24 ore

Federico Perna, il “morto vagante” nelle carceri fuorilegge


  • Florence Ursino

Muore, Federico, in una cella di undici metri quadrati. Lui era l'undicesimo 'inquilino'. C'è la tossicodipendenza, ci sono piccoli reati, c'è la cattiva salute. Ci sono le foto di un corpo martoriato, sanguinante, livido. E ci sono le ombre di un altro Federico, di uno Stefano, di un Giuseppe. Ecco a voi l'ennesimo decesso nelle patrie galere - il 139esimo dall'inizio dell'anno -, l'ultima vittima dello Stato.

 

Federico Perna era un 34enne della provincia di Latina, detenuto nel carcere di Poggioreale dove era arrivato circa due anni fa, dopo una lunga via crucis che lo aveva visto rinchiuso nelle prigioni di Velletri, Cassino, Viterbo, Secondigliano, Benevento.

 

Nove anni in tutto, quelli da scontare per diverse condanne; tre, quelli già passati a rimbalzare da un istituto all'altro: “Il carcere al momento non è compatibile con lo stato di salute del detenuto ed è peggiorativo della sua salute; tale situazione necessita di approfondimento clinico-diagnostico in ambiente ospedaliero” diceva un referto di due anni fa. “Si ribadisce l'inadeguatezza all'allocazione in una sezione detentiva comune”, ribadisce un altro referto tempo dopo: sì, perchè Federico era malato di cirrosi epatica e di epatite C cronica, aveva problemi di coagulazione del sangue e disturbi psichici.

 

Così, per 'alleviare' i sintomi, gli venivano somministrati psicofarmaci e tranqullanti, in dosi massicce. Nonostante il parere dei medici, però, i magistrati non lo ritengono incompatibile con il carcere, e la non vita di Federico va avanti nel suo metro quadro, in una struttura simbolo dello stato di degrado degli istituti di pena nostrani, fino all'8 novembre. Quel giorno, dopo “una settimana che sputava sangue” e dopo l'ennesima richiesta di essere ricoverato, alla fine, Perna è morto come si è ormai tristemente abituati a sentire: in circostanze ancora da chiarire.

 

I risultati dell'autopsia, eseguita il 14 novebre, non sono ancora disponibili. “Mi hanno detto che era morto nell'infermeria del carcere – spiega la mamma di Federico, Nobila Scafuro – poi in ambulanza, poi nel reparto ospedaliero del Federico II di Napoli. Ho telefonato alla direzione del carcere, vivendo a 300 chilometri di distanza, non mi sono stati neanche a sentire. Io mi sono dovuta andare a cercare il morto vagante”.

 

E ora è ciò che è 'doveroso', che vaga, da un'istituzione all'altra: l’Amministrazione Penitenziaria ha avviato un’indagine ispettiva; l'inchiesta giudiziaria è in svolgimento; un deputato del Movimento 5 Stelle, Salvatore Micillo, ha presentato un'interrogazione parlamentare; la ministra della Giustizia, Annamaria Cancellieri, ha disposto l'apertura di una “rigorosa indagine amministrativa interna” sulla vicenda.

 

Si corre ai ripari, ora, mentre gli occhi guardano ancora una volta le immagini indecenti di un uomo macellato, di un figlio la cui madre decide si esporre la morte perchè non sia possibile nascondere la verità. Una verità fine a se stessa, verrebbe da pensare: che serve, infatti, denunciare abusi, negligenza, violenza, abbandono? Le leggi liberticide rimarranno lì, così come le strutture fatiscenti e le celle sovraffollate; i torturatori continueranno a torturare, e il sistema penale a perdonare.

 

 


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