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30/11/24 ore

Cina, non solo Tibet: la causa degli Uiguri dopo l'attentato a Tienanmen


  • Francesca Pisano

Nel giro di qualche ora dall’incidente, la censura cinese ha cancellato dalla rete le poche documentazioni fotografiche che i presenti avevano prodotto e diffuso; intanto le indagini continuano ad essere condotte nel massimo della segretezza. E’ così che non sapremo mai cosa è davvero accaduto lo scorso 28 Ottobre a piazza Tienanmen.

 

Quel che è noto ad oggi è che un’auto si è lanciata contro la folla, prendendo fuoco all’entrata della città proibita e provocando la morte di 5 persone, tre delle quali erano a bordo del veicolo, mentre il numero dei feriti è salito a 38.

 

La pista dell’attentato suicida di matrice uigura accende i riflettori sull’antico conflitto interno che esiste in Cina tra l’etnia han e quella uigura. Quest’ultima, di religione islamica, vive confinata nella regione dello Xinjiang, anche conosciuta come Turkestan orientale, sita nell’estremo nord ovest della Cina.

 

Gli Uiguri sono costretti a subire le vessazioni imposte loro dalle autorità di Pechino in nome del mito della “società armoniosa” che non ammette di fatto l’autonomia e la libertà di tramandare tradizioni, lingua e fede diverse: Come i tibetani, sono soggetti all’opera di soffocamento e omologazione al potere centrale e rappresentano una questione o, meglio ancora, un affare “interno”, in cui la Cina non vuole siano insinuate interferenze.

 

E’ un’opera di sinizzazione quella che travolge gli Uiguri, subiscono una colonizzazione forzata da parte degli Han, volta a trafiggere la loro identità socioculturale e a disperderne la sostanza, a soffocarne la sopravvivenza. Leggi ad hoc sono state prodotte dal governo cinese per “perorare questa causa”, come quella secondo cui è imposto l’aborto forzato al terzo figlio di una famiglia uigura, mentre ai cinesi che vivono nello Xinjiang è permesso raggiungere la soglia dei tre figli, secondo quanto riportato dal giornalista uiguro Erkin Alptekin.

 

Gli Han, che sono l’etnia più diffusa in Cina, possono decidere di trasferirsi e vivere nel Turkestan Orientale, avviare lì le proprie attività commerciali. Invece gli Uiguri sono trattati come cittadini di serie B in tutta la Cina, allo stesso modo subiscono la condizione di essere stranieri in casa propria. Sono soggetti a discriminazioni negli spostamenti sul territorio cinese, “se arrivano in un albergo viene negata loro una stanza solo perché si capisce da dove provengono”, riporta ancora Alptekin.

 

Il loro patrimonio culturale è stato colpito dall’opera di distruzione, così come il centro storico della città di Urumqi, le famiglie che lì vivevano sono state costrette a trasferirsi nelle zone periferiche; è così che il risentimento degli Han determina negli Uiguri una condizione di frustrazione culturale.

 

Eppure lo Xijiang è troppo importante per la Cina dal punto di vista economico. Questa terra infatti è ricca di risorse energetiche e Pechino da questo punto di vista non intende sottovalutarne il valore.

 

Per tali motivi non bisogna generalizzare e attribuire la responsabilità dell’incidente dello scorso 28 Ottobre alla popolazione uigura. Questo è il messaggio con cui il radicale Marco Perduca interviene a commentare questa vicenda, perché si mantengano gli occhi aperti e si eviti di creare le condizioni per “fare di tutta l’erba un fascio e promuovere una sorta di uigurofobia”, al pari della islamofobia o della arabofobia, sviluppatesi soprattutto dopo l’11 settembre. E’ il rischio in cui si incorre automaticamente se trapelano informazioni dalla Cina, notizie certamente filtrate dalle autorità di Pechino, ma che almeno la stampa nostrana deve saper decifrare.

 

Si può dire che la popolazione uigura sia quasi sconosciuta rispetto a quella tibetana, la loro causa infatti ha avuto solo una recente risonanza, considerando che il presidente del World Uyghur Congress, Rebiya Kadeer, solo dal 2006 riveste il ruolo di leader di questo popolo.

 

Più volte candidata al premio Nobel per la pace, Rebiya Kadeer è portavoce dell’esigenza di dialogare con Pechino per promuovere le riforme di un progresso democratico che interessino tutta la Cina. Attraverso il partito radicale transnazionale la causa uigura si è avvicinata anche alle istituzioni italiane e ha raggiunto negli ultimi anni il Comitato permanente dei diritti umani, quindi il parlamento e il governo, soprattutto quando, nel 2009, Hu Jintao abbandonò il G8 per ritornare in Cina e riportare ordine nello Xijiang, in seguito a violenti contrasti fra le due etnie.

 

E’ necessario chiedersi perché la comunità internazionale non pretenda un dialogo con le autorità cinesi su questa problematica e fino a quando le questioni economiche e le relazioni commerciali con la Cina avranno più risonanza di quelle che pervadono la sfera dei diritti umani.


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